Eracleonte da Gela e Kitty O’Meara: filologia di una bufala

Come il Covid-19 ha reso la poesia virale in tutto il mondo, dall'Irlanda dell'Ottocento a Luca Zaia

La storia di questa poesia virale – mai il termine fu più appropriato in queste settimane di emergenza per il Covid-19 – è una di quelle storie in cui ti imbatti il giovedì pomeriggio di un giorno di quarantena. Credevo di aver visto tutto, in fatto di viralità, bufale e appropriazioni sbagliate, quando nel 2016 la sedicenne australiana Erin Hanson autrice del blog The Poetic Underground scrisse la poesia Not e il web attribuì le parole della giovane poetessa, colpevole di firmarsi “e.h.”, a Ernest Hemingway (“è firmato E.H., chi altro potrà essere?”). E invece, nel 2020 flagellato dal coronavirus, la storia di Kitty la batte per lunghezza, arzigogolamento – e grandezza poetica, fatemi aggiungere.

La storia comincia il 19 marzo, quando un mio contatto Facebook condivide questa poesia attribuita a Kitty O’Meary (1839-1888), che secondo il post sarebbe stata scritta durante l’epidemia di peste nell’Ottocento:
 

E la gente rimase a casa
E lesse libri e ascoltò
E si riposò e fece esercizi
E fece arte e giocò
E imparò nuovi modi di essere
E si fermò

E ascoltò più in profondità
Qualcuno meditava
Qualcuno pregava
Qualcuno ballava
Qualcuno incontrò la propria ombra
E la gente cominciò a pensare in modo differente

E la gente guarì.
E nell’assenza di gente che viveva
In modi ignoranti
Pericolosi
Senza senso e senza cuore,
Anche la terra cominciò a guarire

E quando il pericolo finì
E la gente si ritrovò
Si addolorarono per i morti
E fecero nuove scelte
E sognarono nuove visioni
E crearono nuovi modi di vivere
E guarirono completamente la terra
Così come erano guariti loro.

Kitty O’Meary (1839-1888)


Dato che il testo italiano dice “e si riposò e fece esercizi” – una chiara traduzione maccheronica dell’inglese «and rested and exercised» – e la cosa mi suona strana per una poesia dell’Ottocento, così come questa fantomatica epidemia di peste, vado a cercare. Mi rendo conto che:

1. non è mai esistita Kitty O’Meary, le date di nascita e morte sono quelle di Kathleen O’Meara, corrispondente irlandese che visse a Parigi fino alla morte;

2. come ricordavo, a Parigi e in generale in Europa, nell’Ottocento non ci furono epidemie di peste: i primi casi registrati (sporadici fino al Novecento) furono nel 1896, otto anni dopo la morte della fantomatica autrice;

3. in realtà Kitty O’Meary è semplicemente Catherine “Kitty” O’Meara, non deceduta scrittrice bensì vivissima autrice del blog The Daily Round che ha pubblicato questo testo solo quattro giorni fa, il 16 marzo 2020, non in versione poetica ma con un semplice testo in prosa dal titolo In the Time of Pandemic.
 


La diffusione virale è partita dalla pagina ufficiale di Deepak Chopra, scrittore new age sempre in vena di citazioni poetiche sul senso della vita e di condivisioni sul self-improvement, e ha preso presto una deriva imprevista con centinaia di commenti e decine di migliaia di condivisioni e false attribuzioni. Ogni condivisione, ovviamente, condita dagli “Incredibile, parla di noi!”– “Sembra scritta adesso, una speranza di rinascita” – “Poesia che sembra ispirata dall’oggi!”.

 

Scrivo tutto questo in commento al post del mio contatto, in una di quelle precisazioni insopportabili da grammar nazi (anzi source nazi), e il contatto con grazia inusuale corregge la dicitura, toglie il riferimento alla peste e inserisce il link alla poesia originale. Applausi e lieto fine. Se non fosse che…

4. il 20 marzo, dopo che in più post ne è stata sbugiardata l’attribuzione, questa poesia rispunta di nuovo. Il testo è lo stesso, ma stavolta la poesia è attribuita a Grace Ramsay, pseudonimo letterario della Kathleen O’Meara vissuta nell’Ottocento, sparisce l’attestazione della scrittura in tempo di peste e si cita addirittura un romanzo  preciso: Iza’s Story del 1869, che però parla della lotta dei patrioti polacchi contro l’occupazione russa e ovviamente non ha niente che fare con la poesia.

Il testo a questo punto ha fatto un giro enorme, entrando in circolo come traduzione del testo inglese, è passato per la falsa attribuzione a Kathleen O’Meara per poi essere smentito e rientrare infine dalla porta principale con la citazione di un testo preciso – Iza’s Story, appunto – che lo legittima anche agli occhi dei media tradizionali: si trova persino letto dalla signora Antonella per l’iniziativa #cebisognodipoesia in un video pubblicato dalla Repubblica di Palermo con la didascalia «Antonella De Francesco ci legge le pagine attualissime di “Iza’s story”di Grace Ramsay, 1869». Attualissime, vero, dato che sono del 16 marzo 2020. Passano dieci giorni e tutto sembra essersi placato – e con tutto intendo io, perché la poesia continua a girare ovunque, sono io che mi sono rassegnato alla sua viralità – quando succede l’incredibile.

5. il 30 marzo compare via whatsapp un nuovo testo, che riprende il ritmo del precedente e recupera la collocazione temporale “in un momento difficile della sua comunità”; me lo manda un redattore di questa rivista, dopo che a forza di catene è arrivato in un gruppo di suoi colleghi storici e antichisti. Perché? Perché qualcuno, nel magico mondo di internet, ha deciso di aggiornarne il testo inserendo dei riferimenti all’antica Grecia e firmandolo a nome di un nuovo grande poeta. La poesia fa così:
 

È iniziata l’aria tiepida
e dovremo restare nelle case
per le Antesterie
le feste dei fiori
in onore a Dioniso

Non usciremo
non festeggeremo
bensì mangeremo e dormiremo
e berremo il dolce vino
perché dobbiamo combattere

Le nostre città lontane
ornamento della terra asiatica
hanno portato qui a Gela
gente del nostro popolo
un tempo orgoglioso

Queste genti ci hanno donato
un male nell’aria
che respiriamo se siamo loro vicini
il male ci tocca e resta con noi
e da noi passa ai nostri parenti

Il tempo trascorrerà
e sarà il nostro alleato
il tempo ci aiuterà
a guardare senza velocità
il quotidiano trascorrere del giorno

Siamo forti e abbiamo sconfitto molti popoli
e costruito grandi città
aspettiamo che questo male muoia
restiamo nelle case
e tutti insieme vinciamo

Eracleonte da Gela (233 a.C.)


Inutile dire che Eracleonte da Gela, celebre poeta (o storico a seconda della fantasia di chi condivide), non è mai esistito. Ci vorrebbe poco a capirlo, dato che facendo una veloce ricerca online risulta che le prime occorrenze di tale Eracleonte risalgono a non più di due giorni prima e soltanto su pagine Facebook, non un buon segno. In più, nel 233 a.C. neanche esisteva Gela, distrutta nel 282 a.C. dai Mamertini prima che il tiranno di Agrigento Finzia ne spostasse gli abitanti a Finziade, l’odierna Licata. Oltre all’inesistenza del poeta e della città in cui sarebbe nato, c’è discordanza persino all’interno del testo della catena Whatsapp, che in testa prima della poesia riporta la data 322 a.C. e in coda la firma “Eracleonte 233 a.C.”, come a dire: ma non vi rendete conto dei falsi che condividete? Eppure, anche quando il falso viene dichiarato, la risposta di tutti è quasi sempre  “ma comunque il senso rimane” o “è bella lo stesso”, ma viene da chiedersi: se abbiamo condiviso un testo che pensiamo sia stato scritto durante un'epidemia di peste nell'Ottocento o nell'Antica Grecia perché “sembra scritto adesso, una speranza di rinascita!”, che valore ha nel momento in cui il falso viene smascherato? Cerchiamo una fonte autorevole per giustificare i nostri pensieri, ma quando quella fonte viene smentita improvvisamente il testo “vale lo stesso”. Abbiamo così tanto bisogno di dare un'autorità a ciò che pensiamo da essere pronti a condividere cose di cui non conosciamo la veridicità? Evidentemente sì, perché stavolta a riprendere la poesia c’è pronto il presidente del Veneto Luca Zaia, che la cita con enfasi in una conferenza stampa del 31 marzo (e dice che Eracleonte «era uno storico del 223 a.C.» cambiando la data per la terza volta).

 

 

6. Cos’altro deve succedere ancora?! Al punto 5 avevamo già superato ogni confine della realtà, ma il primo aprile, in onore al pesce principe delle bufale, è uscito un articolo di Marcello Troisi che tocca il picco più alto di poesia di tutta la vicenda. In Piacere, mi chiamo Eracleonte. Di Marcello Troisi, l’autore confessa e scrive: «Martedì 24 marzo 2020, a casa come tutti gli Italiani, mi è balzata in mente una idea: “…e se stavolta la Bufala la scrivo io?”. Avevo visto il carrettino con i 99 smartphones trainato da un artista berlinese, mettere alla burla Google. Poi ho letto poesie attribuite ad autori poco credibili come quella di una scrittrice irlandese che era dedicata ai martiri polacchi e trasformata in un testo sulla resistenza a casa. Allora ho inventato Eracleonte». Cosa vuol dire? Che neanche Marcello Troisi, genio maligno dietro alle parole di Eracleonte da Gela, sa che la poesia non è «di una scrittrice irlandese» e crede che sia «dedicata ai martiri polacchi», facendo riferimento al contenuto di Iza’s Story. In poche parole, si è fermato al punto 4.

Spin-off: “Ma la primavera non lo sapeva”
Come tutte le grandi serie tv, in questa storia c’è anche uno spin-off di altrettanto successo, o meglio un crossover, dato che coinvolge In the Time of Pandemic di Kitty O’Meara e la poesia Era l’11 marzo della giornalista Irene Vella. La poesia della Vella, pubblicata precedentemente, è diventata virale negli stessi giorni (la potete leggere sul sito dell’autrice), è stata letta e condivisa da chiunque – da Michele Placido a Red Ronnie e per coerenza col titolo anche da Millie Bobby Brown, la 11 di Stranger Things; per capirci, è la poesia sulla primavera che comincia con «Era l’11 marzo 2020, le strade erano vuote, i negozi chiusi, la gente non usciva più. / Ma la primavera non sapeva nulla». La giornalista, sull’onda del successo e della diffusione della poesia – un po’ retorica e infantile a dirla tutta (e ovviamente accompagnata, nella prima condivisione, da una fotografia con dei fiori rosa sul punto di sbocciare) – ha deciso di registrare il testo alla SIAE e è finita a battagliare sul post di Deepak Chopra, rivendicando l’originalità del componimento di Kitty O’Meara in un delirio di narcisismo. Lì, nei commenti Facebook del post da cui tutto è partito, come il T-Rex contro lo Spinosauro, come Godzilla contro King Kong, si consuma lo scontro epico tra le due autrici:
 

Irene Vella: This is my poem and it’s registred in the SIAE ALBUM.

Era l’11 marzo è lunga 2300 battute, In the Time of Pandemic poco più di 600, racconta la situazione in un modo e con prospettiva diversi e non menziona mai la parola “primavera”, e a chi glielo fa notare lei risponde con grazia.

Irene Vella: ma col cazzo che hai scritto ispirata da sentimenti similari, tu hai copiato di sana pianta una mia poesia cambiando qua e là qualche termine e qualche parola e adesso vieni a dire DON’T SPOIL THE SENTIMENT. Tu TI stai prendendo dei meriti che non hai. Mettiti una mano sulla coscienza.

Kitty O’Meara: I’m sorry I don’t read Italian… it looks longer than my words and I see, from high school, Latin, words I didn’t use. Could we let this go? I just wrote it and shared it with friends. It’s the idea that we can grow during our time in quarantine. Let’s do that. Peace.

Mi dispiace, non capisco l’italiano… sembra più lunga della mia e vedo, dalle scuole superiori, Latino, parole che io non ho usato. Possiamo lasciar perdere questa storia? L’ho soltanto scritta e condivisa con degli amici. È l’idea che possiamo crescere durante il nostro tempo in quarantena. Facciamolo. Pace. Al che Irene Vella posta un’immagine con la sua poesia, accusandola nuovamente di averla plagiata.

Kitty O’Meara: Um, no. But that’s OK. I wrote it and shared it with a friend, and I’m honored it’s touched so many hearts.

Ehm, no. Ma va bene. L’ho scritta e condivisa con un amico, e sono onorata che abbia toccato così tanti cuori.

Irene Vella: You will soon hear from my lawyer since this is a poem of mine registered with the SIAE.

Avrai presto notizie dal mio avvocato dato che è una mia poesia registrata alla SIAE.

Da una parte c’è la bizzarra insistenza di Irene Vella nel ripetere che la sua poesia è registrata alla SIAE – ente tutto italiano di cui la O’Meara non può neanche conoscere il ruolo – dall’altra la O’Meara che prova a lasciar perdere.

Kitty O’Meara: I think the translation wasn’t quite accurate, but this is not what I wrote, though I think the Spirit led us to ponder similar ideas and we expressed them as were led. No worries; both expressions touched hearts. Thank you.

Penso che la traduzione non fosse molto accurata, ma questo non è quello che ho scritto io, sebbene pensi che lo Spirito ci abbia guidato a partorire idee simili e le abbiamo espresse così come erano state guidate. Niente preoccupazioni; entrambe i modi di esprimere queste idee hanno toccato cuori. Grazie.


Ovviamente nessuno ha lasciato perdere, anzi Irene Vella continua a scrivere a tutte le testate e i blog – italiani e internazionali – che pubblicano la poesia di Kitty O’Meara chiedendo di inserire la corretta attribuzione (secondo lei, la sua) tanto che in calce a tanti siti troverete la seconda poesia. Persino Bufale.net nell’articolo La bufala della poesia scritta durante l’epidemia di peste nel 1800, temendone chiaramente l’atteggiamento aggressivo, non prende posizione nei confronti della giornalista «che si sta battendo proprio sulla pagina di Deepak Chopra per rivendicare la proprietà del suo testo e ricordare che la sua opera è stata depositata alla SIAE». E nei commenti al famoso post, in mezzo a chi grida al plagio e chi cerca di far notare che sono due poesie completamente diverse, altri utenti ritornano a pubblicare – esattamente sotto ai commenti di Catherine “Kitty” O'Meara! – i riferimenti a “una poetessa irlandese”, i link alla biografia di Kathleen O’Meara, le citazioni di Iza’s Story. È un’epidemia virale e inarrestabile sì, ma di false attribuzioni. D’altronde, come cantava Venditti, certe bufale non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano.


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