Se gli aiuti si trasformano in una guerra per 600 euro

Il contributo per il lockdown a causa del Covid-19 e il collasso del sito INPS

Ieri ero convinta di dover attendere la mezzanotte per appestare, come tanti, il portale INPS e procedere in fretta e furia a depositare la mia domanda. Poi il sonno ha avuto la meglio e ho rimandato a questa mattina pensando che, dopotutto, se è qualcosa che mi spetta non c’è nulla da temere. Dopo il mio consueto caffè e sigaretta ho aperto Facebook per iniziare il solito scroll che tutti noi facciamo prima di iniziare la giornata: ho letto di persone in paranoia per il numero di progressione che è stato addebitato loro con l’esito della domanda; ho letto di persone in estasi per essere risultate tra le prime cinquemila ad averla depositata; ho letto un’insana sensazione di fibrillazione, di estasi da droga. Ho letto l'entusiasmo isterico delle persone e ho avuto la nausea. Mi sono resa conto che ci stiamo addomesticando per un contributo insignificante, che stiamo sbavando come scimmie a cui promettono di lanciare una manciata di noccioline, che seicento euro sono un affitto e una rata della macchina e che questo sarebbe l'impegno che il governo ha preso per noi. Mentre ricaricavo il portale intasato pensavo alle telefonate con mamma, alla sua voce tremolante che mi ripete che ha chiuso la sua attività da due mesi, alla sua rassegnazione per aver capito che a lei non toccherà neanche una briciola di ciò che le spetta, alle sue lacrime disperate e al suo timore di dover cominciare a pensare ad una dichiarazione di fallimento.
 

Mi sono resa conto che ci stiamo addomesticando per un contributo insignificante, che seicento euro sono un affitto e una rata della macchina


Ho avuto la nausea, poi rabbia e infine ancora disgusto. Ho realizzato che basta questo impegno minimo ad alimentare le nostre insicurezze, a stabilire che così staremo meglio e che questi seicento euro addolciranno una caramella amara e indigesta. Poi mi sono messa con il pc, bella comoda, a provare l’accesso per depositare la domanda. Ho tentato un numero indefinito di volte perché il portale INPS è pieno e intasato di richieste. Vorrei lasciar perdere e donare questa insulsa gara di velocità a chi non può proprio fare a meno di barattare il suo diritto alla vita con un contributo così conteso ma così insignificante. Non sarebbe dovuta essere una guerra tra poveri, ma un impegno per aiutare chi rischia grosso a causa del lockdown. Tutto questo è sbagliato, umiliante e disumanizzante.

È sbagliato nella forma perché non tiene conto di parametri di distribuzione razionali ed equi. È sbagliato nei modi perché ha sbarrato l’accesso a chi non ha un computer, a chi non sa come si richiedono le credenziali Spid e a cosa servono. È sbagliato nei tempi perché fissa un’ora X, un ultimatum, dando l’impressione alle persone che non c’è tempo non c’è scampo e che devono correre prima del leone come fa la gazzella ogni mattina al suo risveglio nella savana. Il contributo di 600 euro una tantum alle partite IVA è sbagliato nelle forme di diffusione delle informazioni di accesso, nelle modalità di presentazione della domanda e nella risposta dei call-center schiacciati da una mole di richieste “che non si aspettavano”. Come può un Istituto Nazionale di Previdenza Sociale non aspettarsi quante domande saranno depositate? Un istituto come l’INPS che conosce le ore di lavoro, i contributi, i membri del nucleo familiare e i codici fiscali di tutti noi. Come può l’INPS essere impreparata ai “numeri” se i numeri li conosce già?

A tale proposito il Sole24Ore ricorda che gli aventi diritto sarebbero stati «3,6 milioni di artigiani e commercianti, 340mila partita Iva e co.co.co., 500mila professionisti senza cassa, 660mila lavoratori agricoli, 170mila stagionali del turismo e 80mila lavoratori dello spettacolo». È stata una mossa umiliante, per me e per le tante partite IVA che hanno deciso di trasformarsi in leoni della savana è umiliante sapere che per lo Stato il nostro valore corrisponde a seicento euro una tantum. Le partite IVA sono persone che aprono una nuova attività e che sognano un giorno di poter assumere e creare nuovi posti di lavoro: sono le librerie, i bar, i ristoranti, i parrucchieri, gli idraulici. Sono le piccole e medie imprese del tessuto economico italiano, fondato su gestioni familiari, sul tramandare le professioni di generazione in generazione. Tutto questo è umiliante per chi ha dovuto chiudere il proprio esercizio senza sapere quando e se potrà riaprire.
 

È umiliante sentirsi come un mendicante in cerca di carità da parte dello Stato dopo che questo mi decurta il fatturato e poi mi obbliga a chiudere tutto comunicandolo con una diretta su Facebook


È umiliante per mia madre, 60 anni, libera professionista da una vita. La sua timidezza nel cercare di comprendere le istruzioni di accesso al portale INPS mi hanno intenerita al punto da aver perso due giorni di lavoro per sistemarle i dati di accesso e prepararla per quando l’Istituto avrebbe dato il via al deposito delle domande. È umiliante per lei non sapere come si accede ad un contributo che le spetta di diritto, dopo aver passato una vita a pagare i contributi dei posti di lavoro che ha creato, a pagare i contributi fiscali che rispetta e onora con dovizia e puntualità. È umiliante per me tentennare e riflettere se sia o meno il caso di chiamare il commercialista per chiedere aiuto. È umiliante sentirsi come un mendicante in cerca di carità da parte dello Stato dopo che questo mi decurta il fatturato, mi intima a pagare puntualmente le tasse e poi mi obbliga a chiudere tutto comunicandolo con una diretta su Facebook. Ed è umiliante la dichiarazione di Tridico che millanta fantomatici attacchi hacker su un portale web costruito senza alcuna cautela informatica, senza una previsione di lungo raggio, senza le accortezze che un server così importante per lo Stato dovrebbe indiscutibilmente possedere. Un portale web costruito con i piedi, come dimostrano gli screen degli utenti beffati.

In sostanza quando il portale è stato preso d’assalto dalle richieste degli aventi diritto l’INPS ha tentato di metterlo offline in maniera così goffa da sembrare tutta una grandissima messinscena, tant’è che oggi il calendario segna effettivamente il 1° aprile. Sul portale sono comparse le schermate in html in plain text dove peraltro gli esperti di settore hanno notato quanto rudimentale e obsoleto sia il linguaggio di programmazione utilizzato, superato oramai da protocolli ben più avanzati e sicuri. L’INPS e l’Agenzia delle Entrate, per rispettare gli impegni presi con l’Agenda Digitale Europea, hanno avviato un percorso asettico e spietato di digitalizzazione forzata, promuovendo barzellette del calibro della lotteria degli scontrini, obbligando i piccoli esercenti a dotarsi di registratori di cassa complessi e costosi, intimandoli ad acquistare licenze e software per la fatturazione elettronica. Il sistema Stato conosce i nostri introiti e tutte le informazioni fiscali che ci riguardano e poteva inviare il contributo agli aventi diritto senza trasformarlo in una delle più epiche e grottesche promesse da campagna elettorale permanente. E tutto questo con la coscienza che in caso di inadempimento ai nostri impegni fiscali, lo Stato sa esattamente su quale conto effettuare pignoramenti, a quale indirizzo recapitare le notifiche di sfratto e con quali mezzi colpire chi non si adegua al suo controllo. E nel frattempo riempie la testa delle persone con il concetto di distanza sociale, tenendole appese ad una speranza che si allontana ogni giorno di più: la solitudine, “l’eternentena”, la paura, la poca voglia di indossare il tuo abito migliore per fare una chiamata su Skype con quelli del lavoro.

Io avevo riposto erroneamente le mie speranze in un governo responsabile prescindendo dal suo colore, perché continuavo a ripetermi che siamo tutti sulla stessa barca, che se non pago le bollette io dovrebbero staccare la corrente e il gas ad altri milioni di persone. Avevo fiducia nel governo e credevo stesse adottando misure ragionevoli per uscirne tutti meglio di prima. I fatti di ieri, tuttavia, mi lasciano un amaro in bocca figlio della consapevolezza che questo è solo l’inizio. Il Paese intero ne uscirà ma, come accade dopo ogni tragedia, dimenticherà le vittime e ricreerà le sue fondamenta costruendole sui cadaveri di chi è stato dimenticato. Questo governo non ha ascoltato le autonomie locali violando prima di tutto la Costituzione. Non ha coinvolto sindaci e cittadini nelle scelte, non ha ascoltato CAF e commercialisti, non ha lavorato al fianco dei lavoratori della sanità e ha preso decisioni graduali e incoerenti promulgandole quotidianamente attraverso i social network, ha mistificato la gravità della quarantena come se fosse una lunghissima puntata del Grande Fratello, ricca di colpi di scena.
 

Questo governo non ha ascoltato le autonomie locali, non ha ascoltato CAF e commercialisti, non ha lavorato al fianco dei lavoratori della sanità e ha preso decisioni graduali e incoerenti


Ciò che ha fatto l’INPS è una mancanza grave nei confronti di tutti quei contribuenti che hanno visto con i loro occhi la fragilità di un sistema così importante per il Paese, amministrato maldestramente anche nelle dichiarazioni date in pasto ai media. Anziché continuare ad aggrapparci al contributo una tantum di 600 euro dovremmo pretendere di essere risarciti per i danni provocati da un sistema gestito con tanta leggerezza e superficialità. L’INPS sapeva che gli aventi diritto avrebbero intasato un sito web privo dei requisiti standard per la lavorazione delle domande. L’INPS sapeva che il sistema avrebbe avuto un collasso e ci ha spinti ugualmente a sgomitare online per avere accesso ad una domanda inconsistente, che viola i principi della Costituzione e anche quelli della legge sulle autocertificazioni. Tutto questo è sbagliato, umiliante e disumanizzante.


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