Culti per giorni nuovi

Su Questo è il corpo, romanzo d’esordio di Simone Marcelli Pitzalis tra dogmi sociali e rituali inediti

Veronica, una ragazza transgender, scompare e nessuno se ne accorge, ma poi ritorna. Però non sembra tornare interamente, ed è a questo punto che la faccenda pare complicarsi, perché il suo corpo è un involucro, un guscio vuoto, privo di coscienza. Gli altri ragazzi e ragazze che vivono insieme a lei nell’ex colorificio, un capannone in una zona dismessa che adesso è diventata la loro casa, cercheranno di prendersi cura di Veronica e scoprire cosa le è successo. Questa è la prima sparizione, dissolvenza, che avviene in Questo è il corpo, romanzo d’esordio di Simone Marcelli Pitzalis per effequ, già autorə di racconti e poesie apparsi su diverse riviste. La seconda sparizione è quella, all’estremo opposto rispetto alla prima, non di una coscienza ma di un corpo; si tratta della forma solida, reale, della voce narrante non binaria che ci racconta cosa è successo a Veronica, in questa provincia senza nome dell’Italia Centrale che si articola in zone abbandonate, macerie, luoghi infestati da turisti, i quali invadono le case che i residenti lasciano per affittare o vendere loro.  La voce senza corpo confessa ciò che ha visto, ciò che crede di aver visto o più semplicemente ciò che crede, conducendo chi legge alla scoperta di tutti i modi che esistono per sparire e comparire di nuovo; tutti i modi che esistono per raccontare una storia e portare ciò che è vero alla luce del sole.
 

E i paesani le distribuiscono le colpe, li distribuiscono i meriti, senza fallo alcuno, secondo protocollo informano, danno una forma riconoscibile, che conoscono. Pensiero impensabile per tutte le persone del paese, che distribuiscono colpe e meriti senza fallo. Violare la proprietà. Li guardavano come si guarda a dei punkabbestia, alla comitiva che abitava il capannone dell’ex colorificio.


Pitzalis, attraverso la voce non binaria e il corpo vuoto di Veronica, mette in scena il significato di moltitudine, possibilità e rinascita, in un mondo che, anche se non lo sa, o finge di non saperlo, è già in parte privo di opportunità, disfatto e corrotto. Gli abitanti della provincia allontanano dalla comunità chi non approvano, e allo stesso tempo puniscono loro stessi mettendo sul piedistallo i turisti, riparandosi dietro favori e meschinità, mettendo in scena piccole mafie. Si tratta di un flusso di abitudini dogmatiche e malsane che ha distorto la quotidianità e che ha lentamente lasciato marcire il mondo. Tutto è fermo, immobile nella certezza che le cose così devono andare. Molte zone si svuotano, i centri diventano luoghi non davvero fruibili da chi li abita. Non esiste più uno spazio di condivisione comune, e così scomparire è quasi normale, anzi diventa una nota di merito nel caso di Veronica, perché percepita come diversa, sbagliata dal resto della società.

Lontano dal centro abitato invece c’è l’ex-colorificio, il capannone dove stava Veronica, con Ester, Iago e Nina e altri ancora. Lontana c’è anche la Fossa, «un paesaggio nuovo e allucinato» dove non esistono dimore ma solo terra, sole che batte implacabile e fango nei giorni di pioggia. Lì si sono stanziate le matrone, che ascoltano e pregano le Sante. Non sappiamo chi sono o quante sono, ma entrambe, sia le matrone che le Sante, sono un’entità femminile unica, molteplice ed estesa, che al contrario dei paesani mette in dubbio la normalità, la routine, l’idea di un paese chiuso in sé stesso. Isolate dal resto della società, tessono il loro racconto, svelando cosa si cela sotto la patina di stasi e omertà che permea questi luoghi.
 

Le matrone dicono: in verità ascoltate, lo spazio è vostro. Perché lo spazio vi è stato sottratto e voi lo avete abitato; era esaurito e lo avete creato.
 

All’estremo opposto delle zone omologate, della turisticizzazione pervasiva e della mentalità bigotta, sta quindi una zona di possibilità, il luogo in cui le matrone si sono stanziate con le loro roulotte. Per bocca delle matrone, le Sante raccontano un mondo diverso, in cui non c’è omertà, segreto o enigma che non si possa risolvere, andando così contro la normalità della società attuale che, definita dagli altri, risulta essere un rigido dogma, una perversione. Nei sei atti del romanzo ci viene infatti chiesto di mettere in pratica, richiamando il sottotitolo del romanzo, i ‘rituali dei giorni nuovi’: quelli possibili, quelli che rivelano e che scombinano le carte di un mondo che vuole invece stare fermo.
 

Restituendo l’identità a Veronica, la voce narrante senza corpo dimostra che niente è come sembra o come la norma vuole farci credere, in un luogo che è ormai un’immensa pastoia


Mentre la voce narrante svela ciò che vede e ciò che le matrone le chiedono di raccontare, altri ragazzi e ragazze dell’ex colorificio si muovono. Qualcuno continua a rimanere immerso nella pastoia della provincia, altri seguiranno i dettami delle matrone, che danno il titolo alle sei sezioni del romanzo: Occupate, Osservate, Dubitate, Spezzate, Bruciate, Seminate. Mentre lentamente si scopre la verità su Veronica e sulla voce narrante, solo questo resta da fare: distruggere tutto per ripartite da capo. Del resto, in una provincia che ormai fa fatica a esistere davvero, i confini sono già stati distrutti; lo scenario in cui si muovono i personaggi è infatti un luogo sfibrato in cui il clima non è stabile, un anfratto subtropicale inospitale popolato da parrocchetti e infestato da piante equatoriali. Serve quindi che le cose cambino, che la verità venga raccontata. A questo serve la voce narrante senza corpo: restituendo l’identità a Veronica, dimostra che niente è come sembra o come la norma vuole farci credere, in un luogo che è ormai un’immensa pastoia, una gigantesca sabbia mobile.
 

Chi desidera la distruzione è un vile, ma chi la teme è peggio.


La sentenza sembra riguardare tutti quanti i personaggi scritti da Pitzalis, e pare potersi applicare alla morale celata dietro il mondo magico da ləi creato. Perché il rituale, per natura, ha delle modalità, delle stranezze peculiari. C’è chi ha desiderato la distruzione di Veronica, chi desidera la distruzione dei ragazzi dell’ex colorificio, chi quella delle matrone. E c’è chi teme la distruzione stessa in quanto cambiamento, innovazione. La stessa voce narrante fa qualche passo in avanti per poi nascondersi di nuovo, fino all’ultimo in preda all’incertezza: quanto le cose possono cambiare? E qual è il prezzo perché questo accada?

In questo caso il mondo magico, impersonificato dalle Sante, offre la soluzione. Come già scritto, sono loro che sembrano in grado, parlando attraverso il corpo delle matrone, di distruggere i dogmi perversi della società per portare alla luce la verità: cosa accade ai ragazzi, cosa sta accadendo al paese e alla provincia. Questo utilizzo di una magia sottile che cerca di trovare un equilibrio, situata al confine tra culto e tradizione, selvaggio e accettabile, sembra quasi rimandare agli elementi di un romanzo folk horror:  l’autorə narra la realtà attraverso una storia comune e condivisa, dal carattere orale, con un primo evento strano e insolito che scaturisce dal nulla, la scomparsa e ‘riapparizione’ di Veronica, e dai cui si dipana un immaginario che si pone tra una tradizione accettata dalla massa e una finzione, che fa leva sulla magia, invece ritenuta estranea e impossibile. Quello che per i paesani è superstizione, sporcizia, diavolo e cattiveria, è in realtà resistenza, con le storie delle Sante che spezzano il flusso dell’abitudine e creano una possibilità nuova. La magia è resistenza e, per quanto suoni assurdo, il cambiamento stesso lo è. Lo stesso linguaggio evocativo ma anche ricco di ripetizioni dell’autorə contribuisce a creare l’idea di un mondo che può all’improvviso fratturarsi e cambiare.

Lo strano e il diverso del romanzo sono la voce delle Sante; il corpo di Veronica che potrebbe restituire una risposta riguardo ciò che è accaduto a lei e che potrebbe accadere ad altri esseri umani; una provincia che ormai sembra solo un luogo isolato e pronto a sfaldarsi, come un sogno allucinato. Tutto a un certo punto sembra privo di collocazione, di radici. Radici che infatti non servono più: senza un luogo, senza un corpo, si può andare oltre, trovare una nuova dimensione ed entità. E i corpi che restano continueranno a fare le veci del passato, con la dignità di chi è rimasto a raccontare di cosa si ha bisogno cosicché si possa ripartire per aprirsi a mondi e possibilità nuove.


Commenta