Complotti

Poteri forti, vaccini, banche, 11 settembre: che cosa ci dice il complottismo della nostra società?

Chi ha ucciso J. F. Kennedy? Lee Harvey Oswald, un derelitto della società americana. Chi ha ammazzato Abraham Lincoln? John Wilkes Booth, feroce sostenitore della Confederazione sudista uscita sconfitta dalla guerra civile americana. Potremmo chiuderla qui, eppure sulla morte dei due presidenti è fiorita una sterminata letteratura complottistica, in tempi recenti alimentata da una idea suggestiva: sia Lincoln sia Kennedy sarebbero stati assassinati in quanto promotori di interventi legali ai danni del signoraggio bancario. Prove? Nessuna, ma nel frattempo l’ipotesi ha camminato per il mondo raccogliendo consensi. Volendone dare una lettura antropologica (ma lo fa meglio di me Niccolò Sbolci in Buy, submit, no thought, stay asleep), simili casi di complottismo nascono dall’incapacità di accettare che le azioni più mostruose siano compiute da personaggi di sconcertante modestia. È il principio della «banalità del male», su cui tanto ha scritto Hannah Arendt, dimostrando che il nazismo era innanzitutto una organizzazione di burocrati incapaci di pensare. Ed è significativo che il nazionalsocialismo sia nato proprio dalla più classica teoria del complotto: gli ebrei come grandi burattinai che avrebbero imposto il loro potere silenzioso. Quegli stessi ebrei che si sarebbero salvati dagli attentati dell’11 settembre, poiché qualcuno avrebbe detto loro di stare alla larga dalle Torri Gemelle, dietrologie deliranti che Emanuele Giusti racconta nell’articolo Inside Job
 

Verrebbe da dire che «non c’è più il complottismo di una volta», quando le dietrologie erano una cosa seria, talvolta una necessità, spesso una manifestazione di semplice buon senso di fronte all’arrogante ipocrisia del potere


Fatte le debite differenze, perché molti credono veramente che la causa dei mali italiani sia qualche banchiere giudeo di New York? Forse perché è troppo difficile guardare in faccia la dura realtà, a base di mafie, corruzione, sprechi, debito pubblico, evasione fiscale, amministrazioni pubbliche inefficienti, corporazioni chiuse, conflitto politico continuo, cementificazione del territorio, penuria di investimenti nella ricerca. Verrebbe da dire che «non c’è più il complottismo di una volta», quando le dietrologie erano una cosa seria, talvolta una necessità, spesso una manifestazione di semplice buon senso di fronte all’arrogante ipocrisia del potere. C’è infatti un abisso fra le parole di Pasolini, che nel ’74 affermava «io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere). […] Io so i nomi, ma non ho le prove», e le dichiarazioni di un Diego Fusaro qualunque: mentre il primo si presenta come un iconoclasta alla ricerca della verità, il secondo costruisce una ‘narrazione’ collaudata, fatta di lessico formulare e categorie ben etichettate («neoliberismo», «turbocapitalismo», «cretinismo economico»), ammiccando a un vasto schieramento che va dalla sinistra no-global a Casa Pound. Un mondo che spesso si ciba di fake news – tutte filo-Putin e antieuropee –, inconsapevole di essere parte di un sistema volto a destabilizzare governi e favorire la rabbia delle masse. Cercare a tutti costi «il mostro nell’ombra» – come da titolo del pezzo di Antonio Costa dedicato all’idea del complotto al cinema – significa fare il gioco di coloro che davvero paralizzano il nostro Paese: settori ben specifici della politica e dell’imprenditoria, popolati da personaggi come Massimo Carminati, relitto neofascista degli anni Settanta che fino a ieri era ancora lì, a dettare legge in materia di affari e appalti pubblici. E poi il problema sarebbe Angela Merkel. 

 

Dall'editoriale del numero L'Eco del Nulla N.6 - Complotti
Illustrazione di Simona Merlini


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