Un viaggio teatrale dentro (e fuori) l'autismo

Su Out is me, spettacolo teatrale che racconta l'autismo con il corpo di chi lo vive

È una cosa rara, nell’arte, quando un uomo mette in scena sé stesso. Rara non perché accada poco frequentemente (di scrittori, registi e artisti che parlano di loro stessi per vanità o autocelebrazione ce ne sono fin troppi), rara perché preziosa, quando viene fatta con autenticità e con una reale volontà di condivisione.
È la prima cosa che ho pensato uscendo dallo spazio Quilombo di Prato nel maggio del 2018, durante il primo weekend di messinscena dello spettacolo teatrale Out is me. Una normalestoriatipica di Lorenzo Clemente, Francesco Gori e Yuri Tuci, co-autore e unico attore sulla scena. Lo spettacolo racconta la storia di un uomo autistico, l’autobiografia teatrale di Yuri, e lo fa con un viaggio dentro la sua vita dall’infanzia all’età adulta. Il titolo gioca sull’assonanza tra l’inglese out e la parola autismo, ed è già nel titolo un manifesto di ciò che gli autori hanno scelto di fare con il proprio spettacolo: prendere ciò che è rivolto verso l’interno – “autismo” è dal greco autòs, “sé stesso”, in riferimento al ripiegamento interiore – e portarlo fuori. L’interpretazione di Tuci, che per due atti tiene il palco con il polso di un veterano, dimostra che l’autismo non è il limite che pensiamo, non è ciò che ci è stato detto. Come dice il testo che accompagna lo spettacolo.
 

L’autismo è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato dalla compromissione dell’interazione sociale e da defitic della comiunicazione verbale e non verbal e che provoca ristrezza d’interessi e comportamenti ripetitivi. I genitori di solito notano i primi segni entro i due anni di vita del bambino e la diagnosi certa spesso può essere fatta entro i trenta mesi di vita- Attualmente risultano ancora sconosciute le cause di tale manifestazione, divise tra cause neurobilogiche costituzionali e psicoambientali acquisite. Più precisamente, data la varietà di sintomatologie e la complessità nel fornire una definizione clinica coerente e unitaria, è recentemente invalso l’uso di parlare più correttamente di Disturbi dello Spettro Autistico (DSA o, in inglese, ASD, Autistic Spectrum Disorders), comprendendo tutta una serie di patologie o sindromi aventi come denominatore comune le suddette caratteristiche comportamentali, sebbene a vari gradi o livelli di intensità. tutto ciò che non è stato detto.


Il sesso, la masturbazione, il rapporto con la società, la famiglia, l’amore. Il dolore che si sente nel vivere le ferite amorose di Yuri, in quei momenti di verità assoluta in cui Yuri personaggio e Yuri uomo coincidono sulla stessa pelle attoriale, sono profonde come l’intensità della sua interpretazione. Quell’uomo autistico che vediamo sul palco è, prima di tutto, uomo. Non solo, la sua è un’umanità commovente capace di comprendersi e mettersi in scena senza filtri. La stessa contaminazione di linguaggi scenici – videoproiezioni, musica elettronica, intermezzi psichedelici – si propone come metafora dell’autismo, e tra trip allucinati, giochi con le macchinine, scene militaresche, maschere e peluche entra dentro la parte più intima del protagonista di Out is me.

L’opera di Clemente, Gori e Tuci fa a livello teatrale ciò che Fabrizio Acanfora ha fatto con il suo Eccentrico Autismo e Asperger in un saggio autobiografico, edito da effequ, in quello che sembra un auspicabile processo di normalizzazione (nel senso inclusivo e più nobile del termine) dell’autismo. «Fino a non molti anni fa l’omosessualità era definita una malattia», scrive Acanfora nell’articolo Segni, simboli e significati, «poi, frutto di un cambiamento culturale, è diventata una variante naturale del comportamento umano. Il significato di quella parola è mutato profondamente pur rimanendo inalterato il significante, ossia il segno, la parola scritta. Questo ha rappresentato un cambiamento enorme per tutte quelle persone che prima erano viste come malate e che dovevano quindi essere curate, cambiate, riparate. Ultimamente si parla molto di autismo eppure troppo spesso, anche sui mezzi d’informazione che dovrebbero appunto informare, la parola autismo viene associata alla malattia». E «il termine malattia richiama alla mente la parola cura, ossia un intervento mirato a ristabilire il normale funzionamento dell’individuo malato; definire l’autismo un differente neurotipo, invece, non implica la necessità di curare l’autistico».
 

Vedendo Yuri Tuci sul palco è chiaro che non c’è niente da curare, c’è molto da raccontare piuttosto, da comprendere


Vedendo Yuri Tuci sul palco è chiaro che non c’è niente da curare, c’è molto da raccontare piuttosto, da comprendere. Il 2 aprile 2019 lo spettacolo va in scena al Teatro Puccini di Firenze, per la Giornata Mondiale per la Consapevolezza dell’Autismo, e riflettendo sul nome di questa giornata viene da chiedersi – con lo scetticismo con cui si guarda alle “giornate mondiali di…” – chi è che dev’essere consapevole? I non-autistici degli autistici, gli autistici di loro stessi? Anche perché Yuri di sicuro è già consapevole di sé, è lo è proprio sul palco, del teatro e della vita – «Mi alleno da tempo ad essere me stesso di fronte agli altri», ha detto in un’intervista, «va molto peggio quando gli altri non ci sono». Forse è in questa dimensione che la sua interpretazione in una delle tante giornate mondiali di… acquisisce un senso e un valore diverso. Per una volta, l’autismo ce lo raccontano il corpo e le parole di chi lo vive.


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