Tra laghi e mari, dagli stadi di Mosca alla Russia rurale

Su Ghiaccio di Oleg Trofim e La rete di Aleksandra Streljanaja, al Festival del cinema russo contemporaneo

È cominciata la prima edizione del festival del cinema russo contemporaneo a Firenze e la rassegna, ospitata dal cinema La Compagnia e realizzata in collaborazione con il festival N.I.C.E. – New Italian Cinema Events, propone una selezione di sei opere di registi russi emergenti, ma che hanno già ottenuto numerosi riconoscimenti sia in patria che all’estero. Durante la serata inaugurale di venerdì 16 febbraio i registi Oleg Trofim e Aleksandra Streljanaja, presenti in sala, hanno presentato due delle pellicole in programma, Ghiaccio (Led) e La rete (Nevod).

GHIACCIO di Oleg Trofim Ф
La commedia musicale Ghiaccio, opera prima del giovanissimo regista Oleg Trofim (classe 1989), racconta la storia di Nadja (Aglaja Tarasova), piccola orfana di Irkusk con un grande sogno nel cassetto: diventare una stella del pattinaggio. Grazie al suo naturale talento e all’aiuto della severa allenatrice Irina (Marija Aronova), Nadja diventa una pattinatrice famosa e si trasferisce a Mosca per allenarsi al fianco di Leonov (Miloš Bikovič) uno dei migliori pattinatori del paese, per colpa del quale subirà però una gravissima caduta che la priverà dell’uso delle gambe. È in questo momento di massimo sconforto che fa il suo ingresso nella storia Aleksandr (Aleksandr Petrov), giocatore di hockey attaccabrighe che inizia a prendersi cura di lei cercando di farla tornare sui pattini.
La parabola altalenante dell’atleta che lotta, vince, cade, ma si rialza – su ammissione dello stesso Trofim che ha commentato il film al termine della proiezione – è figlia di Hollywood e rientra negli schemi del cinema commerciale. Tuttavia, aggiunge l’autore, è proprio grazie all’universalità della storia narrata che Ghiaccio riesce a raggiungere culture tanto lontane da quella di partenza. Il tema sportivo (lo sport, in particolare la danza, torna anche in un’altra pellicola della rassegna, Bolšoj di Valerij Todorovskij) e l’impianto hollywoodiano rendono il film di Trofim una favola universale.
 

Nonostante l'impianto hollywoodiano, Ghiaccio conserva tutta una serie di elementi tipicamente russi, a partire dai glaciali scenari del Lago Bajkal, fino alla ricchissima colonna sonora che include grandi successi della tradizione musicale nazionale


Ghiaccio conserva però tutta una serie di elementi tipicamente russi, a partire dai glaciali scenari del Lago Bajkal, fino alla ricchissima colonna sonora che include grandi successi della tradizione musicale nazionale, come Letet’ (Volare) del gruppo pop Amega, Delaj kak Ja (Fai come me) del cantante e compositore Bogdan Titomir, Ja Soldat (Io sono un soldato) del duo funk hip-hop ucraino 5’nizza, e anche Pačka sigaret (Un pacchetto di sigarette) del mitico leader del gruppo Kino, Victor Zoj. Trofim non si limita inserire questi brani come sottofondo all’azione del film, ma coinvolge direttamente i personaggi nella loro interpretazione, dando vita a vere e proprie sequenze da musical. I numerosi intermezzi musicali tradiscono il background di Trofim, regista noto per spot pubblicitari e videoclip: se da un lato la sua formazione di videomaker funziona molto bene nel montaggio veloce delle sequenze sul ghiaccio, molto dinamiche e di grande forza visiva, non convincono invece certi passaggi musicali, che appaiono goffi e del tutto slegati dal resto del film.
Lo sguardo che emerge è forse ancora acerbo, offuscato dagli stilemi di genere e dall’uso di effetti speciali non sempre riuscito, ma si intravede nel debutto di Trofim una consapevolezza creativa e una capacità di giocare con i tempi cinematografici che fanno ben sperare per il futuro del giovane autore.

NEVOD (LA RETE) di Aleksandra Streljanaja ФФФ
Nevod è l’ultima fatica cinematografica della regista, sceneggiatrice e direttrice della fotografia pietroburghese Aleksandra Streljanaja, già autrice di tre lungometraggi Suchodol (2011), More (Mare, 2013), Samyj ryžij lis (La volpe più rossa, 2016).
La storia di Nevod parte in città, in una San Pietroburgo periferica dove il protagonista (Jurij Borisov) incontra la bella Anja (Marija Borovičeva), una giovane forestiera da cui rimane colpito. È però con il fratello del protagonista che Anja avrà una fugace notte d’amore che la porterà a rimanere incinta. Respinta dal padre del suo bambino, la giovane decide di tornare a casa, in un villaggio di pescatori sul Mar Bianco. Il protagonista parte allora alla ricerca di Anja e in una folle corsa in sella alla sua bicicletta raggiunge il grande Nord russo. Accompagnato dalla misteriosa figura di uno starik (Sergej Belyj), un vecchio abitante del luogo che dice di essersi preso cura di Anja quando era piccola, il giovane pietroburghese attraversa la tundra e i suoi pericoli.
Ciò che colpisce del film della Streljanaja, insieme alla densità delle sue immagini, è la capacità di tratteggiare in poche inquadrature due dimensioni distanti come quella della città e della provincia russa più sperduta: da un lato vediamo una Pietroburgo alternativa, lontana dalla prospettiva Nevskij e dall’Ermitage, dinamica e popolata da giovani, dall’altro siamo catapultati nella dimensione senza tempo di una provincia non precisata, dove la vita è legata alla natura («Per noi la caccia è sopravvivenza, non un passatempo» dirà lo starik) e il tempo scorre ciclico e immutabile.
 

Ciò che colpisce del film della Streljanaja, insieme alla densità delle sue immagini, è la capacità di tratteggiare in poche inquadrature due dimensioni distanti come quella della città e della provincia russa più sperduta


I due giovani protagonisti, seguendo un paradigma già consolidato nel cinema russo contemporaneo (basti pensare a Odnaždy v provincii di Katja Šagalova, a Svadba (Le nozze) di Pavel Lungin, o a Koktebel’ di Aleksej Popogrebskij e Boris Chlebnikov), si spostano dal centro, dalla grande città, verso la periferia del paese. Ecco che il loro viaggio si trasforma in una parabola esistenziale, in un viaggio verso il passato, in un percorso all’indietro alla ricerca di un’identità perduta.
Non è un caso che il protagonista si spogli progressivamente tutti gli strumenti della civiltà, lo smartphone, la bicicletta e anche le scarpe, fondendosi sempre di più con la natura: emblematiche sono le scene in cui sprofonda nella palude, si nutre di muschio o affonda i piedi nudi sul formicaio. Non importa se alla fine del viaggio, una volta uscito a riveder il mare, il protagonista non ottiene in premio l’amore di Anja, il viaggio è il premio in sé stesso.
La macchina da presa della Streljanaja, occhio vivo e profondo, cattura immagini intense – le lunghe inquadrature del mare nero in cui la protagonista tanta di togliersi la vita, Anja che pulisce il pesce accanto alla finestra come la protagonista di un quadro di Vermeer, l’adunanza di tutti gli uomini del villaggio che si raccolgono intorno alla tavola imbandita nel finale – e riesce a intrecciarle con un montaggio poetico creando un’atmosfera nebulosa e dilatata. Protagoniste assolute del cinema della Streljanaja sono le immagini e il ritmo lento di narrazione, lentezza erede della grande tradizione cinematografica russa che lascia il tempo allo spettatore di penetrare nel magma sentimentale dei protagonisti e dei luoghi della Russia rurale in cui il film prende vita.

Il festival appena iniziato – 16, 17, 18 febbraio a Firenze, per il programma cliccate qui – ci ha fatto conoscere due realtà del cinema russo contemporaneo estremamente interessanti, l’opera di un regista emergente che sperimenta con il genere della commedia, mischiandolo a sequenze da musical, e uno degli sguardi femminili più promettenti nel panorama della cinematografia russa.

Serena Mannucci


Parte della serie Festival del cinema russo contemporaneo | 1ª edizione

Commenta