Sperimentare il selvatico

Su Io sarò il rovo di Francesca Matteoni, oltre l'umano nei luoghi del fiabesco

Il linguaggio della fiaba potrebbe sembrare ad alcuni un metodo comodo per raccontare la realtà. Eppure la fiaba, come qualsiasi linguaggio o immaginario che utilizzi il fantastico, ha la responsabilità enorme e per niente facile di spaccare quel reale a metà, senza esitazioni, per mostrare quali altre possibilità, sogni o ricordi custodisca. Questo è quello che fanno le dodici storie di Francesca Matteoni raccolte nel volume Io sarò il rovo, uscito questo autunno per effequ. Matteoni è già autrice, poetessa e studiosa di folklore e, come è evidente anche nell’altro volume del catalogo effequ Dal matto al mondo. Viaggio poetico nei tarocchi, sa bene quale materiale apparentemente innocuo, ma in realtà esplosivo, sta maneggiando quando si addentra nel territorio mitologico e fiabesco.

Chi si approccia al fantastico e all’impossibile si rende presto conto che non c’è un centro del reale, un luogo del tutto sicuro e controllato solo da regole razionali, ma che viviamo in un mondo frammentato e infinitamente esplorabile. Quello che si credeva un terreno solido e certo è in realtà solo un guscio ben costruito che possiamo imparare tuttavia a infrangere con delicatezza. E queste fiabe, che utilizzano luoghi ben conosciuti a Matteoni, ma che potrebbero essere una qualsiasi costa o un qualsiasi bosco da noi visitato, spezzettano quel guscio con maestria, lasciandoci percorrere nuovi sentieri.
 

«E dove se ne andrà questo tuo corpo, che ne sarà della tua mente?»
«Oh, è semplice» ribatté Ovest, scoprendo piccole zanne sotto le labbra e arricciandosi le maniche sui fiori spinosi che gli correvano sui polsi e svanivano in cenere. «La mente vagherà un po' dove vuole. Il corpo sarà il presente nella sua pienezza, una volta superato il confine».
«Dimentichi» disse l'Eremita con la sua voce di pietra che si sveglia e lentamente si spezza, «lo spirito».
«Lo spirito? Mai saputo esattamente a cosa servisse» replicò Ovest, grattandosi le pulci.


Ogni fiaba è un percorso, un sentiero da percorrere e un viaggio, dal primo racconto in cui è il bosco stesso a muoversi o quello contenuto in Ovest, dove il protagonista omonimo, il Pellegrino, abbandona la sua tana sicura per attraversare la Via del Sognare. Questo racconto, posto sempre tra i primi della raccolta, è la chiave per comprendere quale tipo di viaggio è necessario percorrere, anche dalla nostra prospettiva di lettori. Perché pur essendo presente una mappa, come nelle migliori storie fantastiche, questa rappresenta non un sentiero preciso e tracciato con cura, ma una discesa. E la discesa, il tornare, è quello che la raccolta vuole spingerci a fare, abbandonando compromessi razionali e certezze granitiche. Tornare dove? Non è necessaria una meta precisa, ma la volontà di esplorazione.
 

Un animale si mosse accanto a me. Era tutto troppo familiare perché avessi paura e troppo strano perché fossi davvero tranquilla.


Entrare nei boschi, salire su un pendio ed esplorare la costa saranno operazioni da fare senza avere una meta precisa, un obbligo o un piano meticoloso. Si tratta dell’abbandono dell’umano, o almeno di quello che ci rende solo umani, solo razionali, per tornare a sperimentare quei luoghi selvatici, nascosti, che restano solo intrappolati nella coda dell’occhio e mai pienamete esplorati. Gli animali e le forze spirituali che popolano queste fiabe ci ricordano quanto quella natura e quella spiritualità a cui ci approcciamo vengono spesso istintivamente da noi gerarchizzate. Il modo stesso in cui approcciamo ad altre specie dimostra che pensiamo inevitabilmente di essere sul livello più alto della piramide, esseri capaci di etichettare e categorizzare.

Quando parliamo di animali come nostri amici, cosa intendiamo di preciso? Quali sono quelli catalogabili come nemici? Quando entriamo in un bosco e troviamo il sentiero tracciato e sicuro stiamo tagliando fuori tutto il resto, l’altra parte, quella ignota e selvaggia, del suo corpo. Sono creature e luoghi che ci sembrano lontani, estranei al paradigma dominante, sicuro e razionale in cui ci lasciamo beatamente cullare. Li immaginiamo come luoghi negativi e oscuri, quando in realtà è proprio lì che si sono accumulati i ricordi, i sogni e le cose che abbiamo perso. Ogni racconto della raccolta si tiene ben lontano dal voler umanizzare e rendere innocue queste forze. Quello che chi legge, e chi sperimenta il selvatico, dovrebbe fare è piuttosto accettare la possibilità dei mondi che ci vengono presentati, comprendere che quelle forze che li percorrono abitano il nostro stesso pianeta.
Così la storia di un amore tra una ragazza betulla e un uomo, o la compagnia di un animale, non sono semplici storie messaggere di quel mondo, ma sono loro stessi quell’universo. Non possono essere ridotte a simboli o a semplici personaggi, perché il loro compito è più potente e il loro raggio d’azione immenso: in realtà il bosco potrebbe essere ovunque. Non si possono scindere le forze in campo dall’universo che abitano, ma entrarvi noi stessi per farne parte. Leggere queste fiabe è il primo passo, riviverle e ricercarle in ciò che ci circonda è quello che dovrebbe conseguirne. Quel luogo di accumulo diventa il territorio in cui interfacciarsi con quelle forze: diventare uno con loro e comprendere che, una volta spezzato il guscio che ci rendeva solo umani, possiamo non solo godere dell’altra metà della realtà, ma anche essere capaci di raccontarla.
 

Mentre cammino potrei essere seguita, spiata da qualcuno, dagli squarci fra i tronchi, dove cerco di non guardare. Chi è più veloce di me, come si chiamano davvero le cose vive e, se non ho da temere nessuna mano che venga ad assalirmi, basteranno la torcia elettrica o il mio rumore a scacciare i mostri?


L’incontro con il bosco e con la costa rende tutto più comprensibile, perché è proprio questo che fa un tipo di narrazione come la fiaba o il mito. Se da sempre sono servite a far emergere in superficie ciò che davvero c’era bisogno di raccontare, per veicolare significati e far sedimentare concetti che dovevano essere ricordati, ci si può chiedere se oggi la fiaba, come molte altre narrazioni fantastiche, non possa aiutarci a metterci di nuovo al confine. Tolti dal centro, eliminato il guscio che credevamo reale, possiamo tornare in case che credevamo aver abbandonato, incontrare persone e cose che pensavamo di aver perduto. Si riacquistano sogni e sensazioni che ci sembrava di aver messo da parte o che non ci eravamo neanche accorti di aver lasciato andare.
 

Si tratta di un luogo, il selvatico e l’impossibile, che non richiede alcuna decodificazione, ma solo accettazione


Si tratta di un luogo, il selvatico e l’impossibile, che non richiede alcuna decodificazione, ma solo accettazione. La sovrapposizione della vita reale con la vita del fantastico e del sogno ci offre proprio la fiaba in risposta, come questa discesa e ritorno a casa di Francesca Matteoni. Toglierci dal centro e dalla superficie, liberarsi di mete e aspettative per tornare ad essere molteplici.


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