Sergej Esenin

Konstantinovo, 3 ottobre 1895 – Leningrado, 27 dicembre 1925

«L’ultimo poeta della Russia di legno» vuol celebrare il mondo immaginifico, fatto di religione e natura, del villaggio abbandonato dopo l’infanzia (Rito per il morto, 1916), ma la Rivoluzione, che da contadino vuole agreste, l’inurba presto nei caffè letterari moscoviti, ove declamazioni e bevute allevano quel Sergej Esenin caotico e blasfemo esibizionista che pure sarà presto «in Russia il migliore poeta»:  un’anima doppia, incapace d’allinearsi alla dirompente trasformazione sociale della rivoluzione e perciò destinata a divergere. Lo trascina fuori dalla patria l’oppressivo matrimonio con la ballerina americana Isadora Duncan (1922) e negli eccessi incrudisce il senso di svalutazione di sé che già maschera di cinica spavalderia in Confessioni di un teppista (1921); contro la rovina dell’alcol e della droga cerca le origini, ma quando sulle labbra dei contadini trova slogan sovietici, sente perduta l’occasione di farsi messianico poeta del popolo e tenta l’allineamento che subito smentisce, sentendo più forte che Il severo Ottobre mi ha deluso (1925); e non possono amarlo i dirigenti bolscevichi, spaventati dall’effetto che l’incontrollabile «Eseninismo» può avere sulla gioventù. L’uomo nero lo confessa e castiga per i suoi fallimenti, prima che s’impicchi, lasciando ultimi versi nel sangue come In morte di Esenin ricorda Majakovskij

 

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