Pietro Metastasio

Roma, 3 gennaio 1698 – Vienna, 12 aprile 1782

Per le doti d’improvvisatore lo cava dall’oscurità Giovanni Vincenzo Gravina, massimo Arcade e primo dei protettori che, come Settecento vuole, assieme alla fortuna d’autore saranno per il poeta e librettista Pietro Trapassi – grecizzato Metastasio – garanzia di solidità sociale, sentimentale, finanziaria. Educato alla filosofia cartesiana e nutrito di classicità, entra nell’Arcadia (1718) per vivere la stagione dei capolavori tra Napoli (1720) e Vienna (1730): qui succede ad Apostolo Zeno quale poeta cesareo e, tra Didone abbandonata (1724), Catone in Utica (1728) e Olimpiade (1733), sempre gode dell’internazionale successo assicuratogli dalle passioni narrate tra il greco e il francese – l’eroico e il galante – che gli ottengono l’attenzione insieme di nobiltà e borghesia, come soprattutto dalla riforma che, sulla scorta della critica arcadica all’incomprensibile artificioso secentesco e del cartesianesimo, Metastasio imporrà al melodramma per elevarlo a dignità letteraria: placata con linguaggio chiaro e distinto l’esposizione delle passioni e camuffata di naturalezza l’esplosione loro, sollecitando entro la struttura regolare ed ora integrata di recitativi e ariette il giudizio razionale sull’esperienza multiforme del palcoscenico, Metastasio conduce il melodramma nell’alveo del “buon gusto”, prova delle capacità teoriche che nell’Estratto della Poetica d’Aristotile (1773) lo vorranno libero giudice delle convenzioni classiche e, in questo, precursore del Manzoni.            

 

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