Notre-Dame | Il tifo per le fiamme

L'incendio della cattedrale e l'imbarazzo di media, social e di certa sinistra

Ho visitato Notre Dame due volte, l’ultima delle quali meno di un anno fa, durante un viaggio di lavoro. Tutto intorno si muoveva un dispiegamento di poliziotti e militari quasi soffocante, in una Parigi impaurita dal terrorismo islamico, quasi un rumore di fondo di tutta la vita della metropoli negli ultimi dieci anni. Nel nome della sicurezza sono stato controllato, perquisito, passato al metal detector, mentre a poca distanza i mitra delle forze dell’ordine scintillavano sotto il sole: un apparato tanto imponente quanto inerme di fronte al più terribile dei terroristi, chiamato «incuria».
Spetta ora alla magistratura chiarire la causa del rogo: non essendo un ingegnere strutturale, mi astengo da qualunque considerazione. Nessuna pista potrà essere esclusa, compresa quella dell’attentato, ma al momento sembra che ancora una volta dovremo fare i conti con un male assai più «banale»: la sicurezza sul lavoro e le falle della nostra modernità ipertecnologica. Basta un bug in un computer per fermare una smart city; basta una fiamma in una impalcatura per distruggere secoli di storia.
 

I media italiani erano impegnati a urlare «Notre Dame non esiste più» e altre dichiarazioni apocalittiche. E invece Notre Dame era ed è ancora lì, con le sue vetrate più antiche, le sue reliquie, il suo tesoro


Di fronte alle prime immagini dell’incendio non sono nemmeno riuscito a piangere, sconvolto com’ero da un dolore arido e pietrificato. Poi, verso la mezzanotte, parzialmente confortato dalle notizie provenienti dai giornali francesi e dalle foto scattate dagli stessi pompieri, la mia sofferenza si è mutata in disgusto nei confronti dei media italiani, impegnati a urlare «Notre Dame non esiste più» e altre dichiarazioni apocalittiche. E invece Notre Dame era ed è ancora lì, con le sue vetrate più antiche, le sue reliquie, il suo tesoro e soprattutto la sua straordinaria architettura gotica, sicché il dubbio che molti cronisti tifassero per le fiamme si è mutato in certezza: per sopravvivere, questo giornalismo vampiresco deve succhiare sangue da qualunque evento di grande impatto emotivo. Sia chiaro: qui non si contesta il sacrosanto diritto ai post su Facebook con le foto davanti a Notre Dame accompagnate da cuori spezzati (siamo umani ed è giusto così), bensì il compiacimento melodrammatico di coloro che dovrebbero, per mestiere, vagliare le fonti e spiegare i fatti. Gli stessi che poi si affannano a citare Umberto Eco e a puntare il dito contro le «legioni di imbecilli» che popolano la rete: gente che a migliaia di chilometri di distanza, un minuto dopo la diffusione della tragica notizia, aveva già aperto e chiuso la propria inchiesta, decretando le cause dell’incendio e proponendo soluzioni immediate. Imbarazzante quella di Donald Trump, convinto sostenitore dell’uso di canadair: per rispondergli si è scomodata addirittura la Securité Civile, che gli ha fatto notare come bombardare d’acqua una struttura del genere avrebbe provocato danni mostruosi.

Ignara di queste miserie, la cattedrale è sopravvissuta. Le devastazioni, pur terribili, si sono limitate all’antico tetto di legno e alla ‘moderna’ guglia di Viollet-le-Duc; la stima dei danni è ancora in corso, ma l’eccezionale lavoro dei pompieri ha evitato il peggio. Le attività di monitoraggio, studio e recupero sono già partite, in barba alle penose dichiarazioni di Roberto Saviano:
 

«L’Europa sta affondando e, mentre ci affanniamo a sperare che una cattedrale venga ricostruita, ignoriamo le centinaia di vite che in questo momento, anche per causa nostra, stanno vivendo l’inferno».


Se ancora ci fosse bisogno di spiegazioni sulla caduta libera della sinistra, questo post sarebbe perfetto. Cosa c’entra la mostruosa politica di Salvini con il rogo di Parigi? Se sperare nella ricostruzione di una cattedrale equivale ad «affannarsi», allora non c’è speranza: i populisti continueranno a vincere, perché avremo delegato a loro la difesa di valori come «tradizione» e «radici». Non si può essere interculturali senza conoscere la propria cultura, né avvicinarsi al prossimo senza sapere da dove si parte: se non abbiamo il coraggio di dire che Notre Dame è un simbolo della nostra identità, se ci vergogniamo a pronunciare la parola «Cristianesimo», se la nostra moderna e giusta laicità si trasforma in negazione della storia, vuol dire che ci siamo già arresi. I nostri nemici sono schierati su fronti opposti, eppure complementari: le esultanze per il rogo di Notre Dame non si leggevano solo nei tweet di fanatici musulmani trasmessi da Al Jazeera, ma anche nei commenti di molti sovranisti di casa nostra, ben felici di assistere al dolore dell’odiata Francia. Soffrire per un monumento della civiltà umana non significa dimenticarsi delle morti in mare, della povertà che affligge il Terzo Mondo e del cambiamento climatico combattuto da Greta Thunberg: significa ripartire dal proprio passato per dare un senso al presente e immaginare un nuovo futuro.
 

Soffrire per un monumento della civiltà umana non significa dimenticarsi delle morti in mare o della povertà che affligge il Terzo Mondo, ma ripartire dal proprio passato per dare un senso al presente e immaginare un nuovo futuro


Situazioni come queste sono il contesto ideale per l’inquinamento dei pozzi, abilità nel quale è maestro Alessandro Meluzzi, che ovviamente ha parlato subito di attentato (preferibilmente di matrice islamica, ma anche pro-gender va bene), seguito a ruota da vari siti internet, dai quali si evince che in Francia sarebbe in corso una «ondata» di profanazioni e atti vandalici ai danni di chiese cattoliche «coperta dal silenzio dei media». Quasi nessuno cita le fonti, sicché bisogna girare molto su internet prima di trovare qualcosa di concreto: un brandello di verità emerge solo da un articolo di Newsweek, dov’è riportata la dichiarazione dell’arcivescovo di Nîmes, secondo il quale nel solo febbraio di quest’anno, in Francia, sarebbero stati attaccati 47 luoghi di culto cristiani. L’arcivescovo si rifà a sua volta a un pezzo uscito su The Tablet, settimanale internazionale di ispirazione cattolica: con un po’ di fatica sono riuscito a recuperarlo (link qui). L’articolo inizia con una immagine di una manifestazione in ricordo di padre Hamel, ucciso da integralisti islamici mentre celebrava messa a Saint-Étienne-du-Rouvray, il 26 luglio 2016: la foto è del giorno successivo, scattata proprio davanti a Notre Dame. Poi, senza alcun nesso logico, si passa al secondo paragrafo:
 

«French monitoring groups have cited an increase in attacks on churches and religious sites, with a record 47 documented in February, despite appeals for better protection from the country's Catholic bishops. The groups' report said 15 vandalism attacks had been registered nationwide during the month, along with 15 robberies, 10 acts of profanation and one torching incident».

Provo a tradurre:

«Gruppi di monitoraggio francesi hanno citato un aumento degli attacchi a chiese e siti religiosi, con un record documentato di 47 casi a febbraio, nonostante gli appelli, da parte dei vescovi cattolici di Francia, per una migliore protezione. Il rapporto dei gruppi ha affermato che nel corso del mese sono stati registrati 15 atti vandalici a livello nazionale, insieme a 15 rapine, 10 atti di profanazione e un incidente incendiario».


Chi sarebbero questi «French monitoring groups»? Dov’è questo «report»? Non si sa. Siamo quindi di fronte a siti internet che citano altri siti internet che citano Newsweeek che cita il parere di un vescovo che cita un articolo di The Tablet che cita un presunto rapporto di non meglio precisati «gruppi di monitoraggio»: tutto è possibile, ma per me il giornalismo è un’altra cosa.

Questo non è fact-checking, espressione odiosa che mi fa venire voglia di arruolarmi nell’ISIS: è semplice filologia e – molto più banalmente – immediato buon senso. È vero che il rogo del 17 marzo nella chiesa parigina di Saint Sulpice sembra effettivamente doloso; è vero anche che circolano fotografie di tre o quattro atti vandalici, pubblicate dalle pagine social di alcune diocesi francesi (ne parla anche Le Figaro); ma dov’è la documentazione in merito a questi 47 casi? Non si tratta di negare la questione: il punto è verificarla e capire se ci troviamo davvero di fronte a un disegno organizzato da una rete specifica o a singoli gesti (fossero anche 47) di vandali anticristiani, come ne avvengono in ogni angolo d’Europa. La differenza è fondamentale: accreditare senza prove la tesi della strategia pianificata a tavolino, facendovi rientrare anche l’incendio di Notre Dame, significa sposare una tesi a priori e creare – anche inconsciamente – una narrazione utile a chi, nel nome di una «Cristianità» mai praticata, si arroga il diritto esclusivo di difendere cose che non conosce. A chi, dietro alla condanna di ipotetici globalisti bramosi di sostituire Notre Dame con una moschea (Simone Di Stefano dixit), spera segretamente che tutto ciò avvenga per davvero, così da avere finalmente un alibi sul quale edificare il proprio consenso: un atroce e inconfessabile tifo per le fiamme da appiccare in ogni angolo d’Europa.


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