Nessuna parola vale una pallottola

La strage nella redazione di Charlie Hebdo e i confini tra libertà e intolleranza

18 giugno 1961. La corsa del treno Strasburgo-Parigi si ferma all’altezza di Vitry-Le-François, quando un ordigno fa deragliare il convoglio causando 28 vittime e più di cento feriti. L’attentato, firmato dall’Organisation de l'armée secrète, è uno degli episodi più cruenti della guerra franco-algerina avvenuti su suolo europeo. Ieri, 7 gennaio 2015, a più di cinquant’anni di distanza, due franco-algerini sono entrati kalashnikov alla mano nella redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo uccidendo 12 persone, mettendo in atto il secondo attentato per numero di vittime di tutta la storia della Francia moderna. Non è la prima volta che il fondamentalismo armato attacca in Europa, ma è la prima volta che la sua violenza è mirata e rivolta non ad una generica folla di pendolari, ma ad uno dei valori più cari all’Occidente: la libertà d’espressione. Fa ancora più male, forse, sentire che qualcuno azzarda un “se la sono cercata”, perché quella di Charlie Hebdo non era satira ma semplice cattivo gusto, o peggio, oltraggio. Forse, per evitare di farsi ammazzare a colpi di mitra, i disegnatori avrebbero dovuto darsi un contegno, autocensurarsi, o un qualche ufficio dello Stato avrebbe dovuto provvedere? Si sente parlare addirittura di un “abuso” della propria libertà, come se ci fosse un limite a ciò che un uomo può dire e superato quel limite, dopotutto, potesse essere legittimo intraprendere un’azione repressiva. Sembra quasi che gli attentatori non siano gli unici a cui piace sparare sulla libertà. E anche se non ne fossero i paladini, la dignità dimostrata nel non volersi piegare alle numerose minacce non fa già degli autori di Charlie Hebdo dei degni rappresentanti di questa nostra libertà? Una volta che si è posta un’asticella, sotto la quale rimanga quel che è concesso, ci vuole un attimo ad abbassarla, e soltanto poco di più per tirarla giù del tutto. La libertà d’espressione è un valore fondante della nostra civiltà, e non è negoziabile. E non può essere un singolo gesto, per quanto estremo, a farci cadere nel compromesso.

Un gesto di cui, tra l’altro, stupisce l’apparente mancanza di logica e di direzione. Se, sotto il velo del fanatismo religioso, a motivarlo è stata la rabbia per le disastrose condizioni di milioni di musulmani nel mondo, a che pro colpire chi non ne ha colpa? Non è stata colpita una sede del potere politico, militare o economico dell’Occidente, ma soltanto la redazione di un piccolo giornale satirico. Chi può credere in buona fede che i nostri governi reagiranno armi in pugno a un qualcosa che non li tange? Il colpo inferto è tanto più subdolo perché il suo solo effetto sicuro è quello di seminare odio e incomprensione tra Oriente e Occidente, tra Europa e Islam, e quindi di dar corso alle chiacchiere e alle mire criminali degli estremisti di entrambe le parti: se probabilmente i fondamentalisti ci guadagnano, in potere e proseliti, a isolare i musulmani dagli altri europei, è sicuro che le destre xenofobe – il Front National della Le Pen in Francia, la Lega di Matteo Salvini da noi – sono pronte a far cassa alle urne marciando su tragedie come questa. Tragedie che poco hanno a che fare, come invece Salvini vorrebbe dare a intendere, con la clandestinità dell’immigrazione. La complessità problematica delle relazioni tra la comunità musulmana e quella occidentale in Italia come in Francia è già emersa più volte, anche in contesti di perfetta legalità. Chiudere le frontiere non può essere l’unica soluzione, nemmeno sul breve periodo, né può esserlo una guerra intestina che prenderebbe le forme di una caccia alle streghe. Se ci lasciassimo andare alla stessa cieca intolleranza che ha armato la mano degli assassini soffocheremmo gli stessi valori nel cui nome oggi tutti difendiamo Charlie Hebdo. Di fronte a queste provocazioni, l’unica reazione è non reagire. L’unica reazione che davvero rispecchia gli ideali di libertà e democrazia di cui ancora ci facciamo vanto è quella dei ventimila parigini scesi ieri notte in Place de la République, per riaffermare penne alla mano che, per quanto oltraggiosa, nessuna parola vale una pallottola.

Emanuele Giusti e Andrea Caciagli
Vignette di Andrea Barattin e Clarissa Mazzoni


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