L'ottimismo dell'outsider

Sulla riedizione di Riti notturni di Colin Wilson, thriller metafisico nella Londra degli anni Cinquanta

Colin Wilson, scrittore britannico scomparso nel 2013, autore di opere di narrativa, saggistica e studioso dell’occulto, dopo Lo straniero (titolo originale: The Outsider), romanzo che lo portò alla ribalta nel 1956 quando ventiquattrenne si era trasferito a Londra da Leicester, non si è più fermato, diventando una bussola puntata sull’esistenzialismo. Perché da lì partì Lo straniero, da un appunto su un diario e dalla consapevolezza di stare vivendo ai margini della società, isolato da ciò che accadeva là fuori, armato della volontà di poter cogliere le cose più in profondità, atteggiamento e apparente problema sociale che aveva contraddistinto molti altri personaggi letterari. Sempre a lavoro su concetti come verità, individuo e consapevolezza, Wilson ha inserito la sua idea di esistenzialismo in molti dei suoi lavori. Gli outsider non sono semplici passeggeri, riescono a vedere le cose diversamente dagli altri uomini e una volta che questa consapevolezza ha messo radici è impossibile tornare indietro. Raskolnikov è uno tra questi, Van Gogh, Harry Haller. Il concetto sta anche alla base della criminalità per Wilson, che si è occupato dell’argomento in diverse opere di non fiction. Ma sono soprattutto i personaggi dei suoi romanzi che diventano una cartina tornasole di cosa significa vivere l’epifania dell’outsider, lo smarrimento irreale che ne consegue e la volontà di rimettersi a lavoro per rimparare da capo cosa vuol dire vivere.

Per farlo Wilson si è sempre messo in gioco nella narrativa di genere: gialli, horror, fantascienza. Carbonio Editore, che insieme ad Atlantide Edizioni ha riportato in libreria negli ultimi anni le opere di spicco dello scrittore, ha dato il via lo scorso dicembre alla pubblicazione della trilogia di Gerard Sorme. Riti notturni, il primo volume, è il romanzo a cui Wilson ha lavorato per più di undici anni, iniziandone la stesura quando Lo straniero era soltanto quell’appunto su un diario. Non stupisce quindi che, sebbene anche in altri romanzi i protagonisti siano uomini che sanno vedere davvero, come ne I parassiti della mente o I vampiri dello spazio (entrambi usciti nella collana Urania), è in questo primissimo romanzo che la figura dell’outsider prende forma davvero, creando un vero e proprio – l’etichetta in questo caso non sbaglia – thriller metafisico.

Gli outsider non sono semplici passeggeri, riescono a vedere le cose diversamente dagli altri uomini


Ambientato nella Londra degli anni Cinquanta contemporanea all’autore, Riti notturni ha come protagonista Gerard Sorme, un ventiseienne outsider in fieri che ha passato gli ultimi anni in una sorta di isolamento volto a trovare un senso alla propria vita, senza tuttavia raggiungere il benché minimo risultato. La svolta per Gerard avverrà con Austin Nunne, un giovane ed eccentrico omosessuale che incontra a una mostra su Diaghilev (esposizione che WIlson visitò più volte negli anni Cinquanta, tanto che il ballerino Nijinsky, amante di Diaghilev, era uno dei personaggi de Lo straniero). Malgrado l’iniziale diffidenza nei confronti di Nunne, nell’arco di una serata i due diventeranno ottimi amici e confidenti.
 

Hai proprio un bel carattere, Gerard. A quanto pare non odi le persone quanto le odio io.
A quanto pare, disse Sorme sorridendo, non mi conosci bene quanto mi conosco io.


Entrambi mostrano i tratti dell’outsider: il distacco dalla realtà, la consapevolezza di una verità più alta e apparentemente irraggiungibile, la volontà di afferrare tutto ciò che c’è di comprensibile. Gerard rimarrà invischiato alle vicende di Nunne, tramite lui conosce sua zia e sua cugina (avrà una relazione con entrambe) e il pittore Oliver Glasp. Intanto sullo sfondo si consumano degli efferati delitti a opera di un emulatore di Jack lo squartatore. Bildungsroman, thriller e una sotterranea componente fantastica/weird sono i tre assi che sostengono Riti notturni. Da qui il suo essere un thriller metafisico; è il mistero del killer al fornire la direzione del romanzo, ma allo stesso tempo è l’elemento che annulla la direzione stessa, creando un cortocircuito nel protagonista. L’identità del killer che semina il panico a Londra corre parallela alla crescita interiore di Gerard Sorme; mentre il primo compie nuovi delitti, l’altro cercherà di comprendere cosa davvero deve fare della sua vita, dopo l’epifania che lo decreta un outsider.
 

Per sconfiggere la sonnolenza, accese il grammofono e mise sul piatto un disco di Sibelius. Le prime note della sinfonia intensificarono l’intuizione, la consapevolezza del proprio passato. La sensazione gli ricordò il sogno di Nunne nel bordello e Nunne gli fece pensare a Nijinsky. Era tutto ciò che Nijinsky rappresentava per lui, concentrato in un’unica emozione. Significava credere: credere in se stesso, nella vita e in Dio. Aveva voglia di dire: Accetto la vita. Accetto tutto.
Pensò, con una specie di vuoto stupore: l’ho ritrovata. Ho recuperato la mia soggettività. Se potessi vivere così tutto il tempo, non avrei mai più dubbi.
Irrealtà. L’irrealtà è perdita di soggettività. Per cinque anni ho vissuto in una città irreale. Adesso è la mia città.


Ma Sorme non è l’unico outsider del romanzo. Nunne e Oliver Glasp corrispondono a diverse declinazioni del termine che Wilson ha delineato nella sua più nota opera. Austin Nunne all’inizio sembra il tipico personaggio à la Wilson, una sorta di maestro e allo stesso tempo specchio deformante con cui dovrà fronteggiarsi il protagonista. In realtà è qualcosa di più: Gerard mantiene nei suoi confronti una fiducia vacillante. Non riuscirà mai a capirlo davvero durante le sue peregrinazioni, restando un’incognita più che un punto di riferimento.: Nunne non riesce a trovare se stesso perché le sue epifanie scaturiscono da un trucco, sono fasulle e artificiose. Nunne è come la mostra di Diaghilev a inizio romanzo. C’è l’atmosfera, c’è la rivelazione, ma è esagerata, posticcia, Nunne resta un maestro solo per se stesso. Gerard, procedendo nel romanzo fino alla rivelazione finale, sarà costretto a rigettare tutto ciò che ha apprezzato dell’amico. L’altro outsider del romanzo, il pittore Oliver Glasp, è il corrispettivo di Van Gogh; è fragile, visionario, soffre di attacchi che non gli permettono di vivere tranquillo, non riesce a controllare la sua personalità. Eppure anche lui, come Nunne, tradirà le aspettative di Gerard, che riconoscerà infine l'incapacità dell'amico di distaccarsi da determinate questione emotive, vivendo in una dimensione più ristretta di quella a cui lui aspira.
 

Le cose là fuori sono spaventose se uno è capace di vederle e Gerard Sorme lo sa bene, sdraiato sul tetto della sua casa nella Londra degli anni Cinquanta


Gerard è il vero outsider del romanzo e del resto l’unico a sperimentare quelle che Wilson, e prima di lui lo psicologo americano Abraham Maslow, ha chiamato esperienze di picco. Le esperienze di picco rientrano perfettamente nella logica dell’outsider. Questi uomini sono consapevoli che la coscienza dell’uomo, in uno stato ordinario, non è vigile e attiva quanto le sue vere possibilità le permetterebbero. Chi ha delle esperienze di picco riesce a sperimentare veri e propri momenti di pura gioia, stimolati dalla consapevolezza che si può accedere, orientando le proprie emozioni, a simile fonti di illuminazione sotterranea. Tutti i protagonisti di Wilson prima o poi riescono a sperimentare questo stato, che va dalla semplice gioia scaturita da un ricordo, dalla consapevolezza che là fuori splende il sole, fino a una più profonda conoscenza mistica e assoluta.
 

Il mondo fisico mi frustra e il mio stesso corpo mi tradisce.


Questa distruzione del muro che separa la vita normale da un’esistenza più consapevole si intreccia ancora più a fondo con i personaggi e il lavoro di Wilson. Se sono i suoi protagonisti a dover riconoscere che c’è molto altro oltre lo spettro del visibile, anche i suoi antagonisti sono portati a patire la stessa rivelazione, fallendo però nel portare a termine il lavoro. I criminali, sottolinea Wilson anche nei suoi lavori di non fiction come nell’Enciclopedia del delitto (Ghibli, 2015) o A Criminal History of Mankind, sono totalmente isolati dalla società, e tra loro quelli che definisce i veri ribelli scoprono quanto la realtà sia ben altra da quella che vivono tutti i giorni. La loro la follia scaturisce proprio da questa rivelazione e pur di affermarsi andranno ad abbattere ogni ostacolo, perdendosi in crimini e violenze.  Il killer di Riti notturni è uno di loro: emulo di Jack lo Squartatore, ne condivide il modus operandi e lo spietato esibizionismo che lo spinge a scrivere lettere alla polizia, ma è molto più consapevole, rispetto al suo modello vittoriano, di ciò che fa. I personaggi di Wilson vivono nel suo tempo, in una Londra sfacciata, edonista e vittima dell’utilitarismo: se qualcuno riesce a svegliarsi in un tempo del genere può scegliere di affrettarsi verso la comprensione, per quanto il cammino possa risultare doloroso, come Sorme, o fallire, come il killer di Riti notturni o ancora più palesemente quello de La gabbia di vetro (Carbonio Editore, 2018), altro giallo di Wilson, il cui protagonista, uno studioso di William Blake (altro outsider) è alla ricerca di un assassino che traccia citazioni del poeta vicino alle proprie vittime.
 

Se conosce Blake, non può essere un’anima persa fino a questo punto, non credi?


La ricerca del killer nei romanzi di Wilson è ricerca esistenziale, perché si intreccia con la presa di coscienza del protagonista, il suo passeggiare in un mondo che è più reale di ogni realtà quotidiana, mentre allo stesso tempo riconosce nell’assassino una simile larghezza di vedute. Le cose là fuori sono spaventose se uno è capace di vederle e Gerard Sorme lo sa bene, sdraiato sul tetto della sua casa nella Londra degli anni Cinquanta. Wilson è un ottimista perché, rispetto a chi come me parteggia per la fazione opposta del pessimismo, crede che allargare senza limiti la propria coscienza sia uno strumento sempre a favore dell’uomo e che questo tipo di ricerca altro non sia che l’orientarsi della nostra specie verso una nuova evoluzione.

Riti notturni è, insieme a Lo straniero, il manifesto di questo ottimismo: Gerard Sorme riesce a creare una sua dimensione, uno spazio diverso e brillante rispetto alla Londra ordinaria in cui vive, e ci riesce facendo tutto quello in cui crede o ciò che si sente di fare. Che suona così semplice e sciocco, eppure è la rivelazione perennemente ripetuta in ogni suo romanzo, la ricerca di quella quinta dimensione che corrisponde a tutte le possibilità che possiamo solo provare a immaginare.


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