Le spoglie immemori

Il Napoleone imbalsamato tra i dipinti di David e le pagine di Henry Miller

Il 2 dicembre 1840, a trentasei anni esatti dalla sua incoronazione, il corpo di Napoleone Bonaparte torna a toccare il suolo francese a Cherbourg, per la prima volta dal suo fatale esilio a Sant’Elena. La salma, trasportata a Parigi per i funerali solenni, dovrà attendere vent’anni per trovare riposo nella tomba monumentale riservatagli agli Invalides, nella cappella privata di Luigi XIV, ricongiungendosi con l’Ancien Régime, che aveva contribuito ad abbattere, in nome della Nazione. All’interno di un enorme sarcofago di porfido rosso, una bara di lamiera, una di mogano, due bare di piombo, una di ebano e una di quercia, l’Imperatore si piega alla Francia per assolvere al compito più grande, ascendere al rango di mito. E come ogni mito che si rispetti viene cesellato, privandolo di qualunque aspetto terreno. La devozione dei posteri, cui da sempre spetta l’ardua sentenza, fa dell’uomo un idolo, ripulendolo dalla sporcizia del quotidiano per ricavarne una copia in marmo scolpita ad arte: bella e perfetta quanto vuota. Alla Francia serve un simbolo, vuole un’icona: non il Napoleone rampante di David, ma l’inamovibile Marte di Canova. Un monumento fatto per essere ammirato, e non interrogato. Un dio dogmatico e sterile da cui niente si può imparare, un dio che ha tutte le risposte ma non accetta domande. E non le accetta perché non ha soluzioni ma assiomi, perché nel rispondere si spoglierebbe della sua veste marmorea, tornando imperfetto, umano. Scriveva Henry Miller, camminando per le strade di Parigi in Tropico del Cancro:
 

«Pont Alexandre III. Grande spiazzo battuto dal vento, avvicinandosi al ponte. Alberi scarni, nudi, matematicamente fissi nei loro graticci di ferro: lo squallore degli Invalides che scaturisce dalla cupola e inonda le strade buie adiacenti alla piazza. L’obitorio della poesia. L’hanno dove lo vogliono, ora, il grande guerriero, l’ultimo grand’uomo d’Europa. Dorme profondamente nel suo letto di granito. Niente paura che si rivolti nella tomba. Le porte son ben serrate, il coperchio è sicuro. Dormi, Napoleone. Non le tue idee volevano, volevano il tuo cadavere!».


Quando una delle maggiori divinità del primo Novecento, Josef Stalin, fu riportata sulla terra da Chruščëv nel celebre congresso del 1956, abbattendo il muro di sacralità eretto in vent’anni di egemonia, la sua pura e atroce umanità sconvolse un intero blocco. Nel descrivere il XX congresso, lo storico Roy Medvedev disse: «Sarebbe come se il Papa chiamasse a rapporto i sacerdoti e dicesse loro di essere giunto alla conclusione che Dio non esiste». Cinque anni dopo, il corpo imbalsamato di quel Dio fu rimosso dal pantheon comunista, separato dalla salma di Lenin nel mausoleo sulla Piazza Rossa a Mosca, dove il padre del più grande moto rivoluzionario del Novecento ancora oggi giace statico, immobile, eterno. Vittima dell’ennesima tassidermizzazione dello spirito.
Nella cripta all’interno della cappella reale agli Invalides, una scala porta ad un’enorme porta sorretta da due colonne in forma di statue, a sinistra la ‘Forza civile’, a destra la ‘Forza militare’. Sull’architrave della porta, forgiata con il bronzo dei cannoni di Austerlitz, campeggiano le parole del testamento di Napoleone, quasi un sarcastico epitaffio dell’Imperatore: «Desidero che le mie ceneri riposino sulla riva della Senna, in mezzo al popolo francese che ho tanto amato». Il sarcofago del grande condottiero, adagiato su un piedistallo di granito verde, si può ammirare per 9 euro e 50.

 

Pubblicato su L'Eco del Nulla N.1, "Nuovi inizi", Autunno 2014
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