La società dei robot

Siamo uomini o automi? L'evoluzione dei robot nel cinema da Metropolis a Blade Runner 2049

Il cinema fantascientifico non è un genere come gli altri, spesso è stato luogo narrativo nel quale dare sfogo a fantasie, paure e timori, descritto da Stuart Kaminsky come «un inquietante sogno premonitore» che in un contesto di futuribilità ci avverte che tutto può accadere. Questo genere, a differenza degli altri, non circoscrive le proprie tematiche, ma le ingloba in un universo variegato in cui riescono a coesistere temi come conflitti spaziali, futuri distopici, catastrofi apocalittiche, minacce aliene e viaggi verso pianeti lontani. Robot e intelligenza artificiale sono da sempre argomenti cari alla fantascienza, anche se l’idea di creare macchine pensanti a propria immagine e somiglianza risale a molti secoli prima della nascita del cinema. Una delle prime testimonianze è riscontrabile nell’Iliade, dove Efesto aveva creato, nella sua fucina, quelli che oggi descriveremmo come automi a servizio delle divinità dell’Olimpo. Leonardo Da Vinci nel XV secolo dedicò parte delle sue ricerche allo sviluppo di automi mobili che diverranno nei secoli successivi di uso comune nelle feste popolari e di corte. Nel 1812, dopo la sintesi del primo composto organico, si credette che la scienza avesse scoperto il segreto della vita e che, grazie a questo, sarebbe stata in grado di ricreare l’uomo in laboratorio (nel 1818 l’autrice inglese Mary Shelley pubblicò il romanzo Frankenstein), mentre nel 1842 il matematico Charles Babbage progettò la “macchina analitica” – definita madre del moderno computer – che anche se poi non venne costruita dette vita ad un dibattito sulla possibilità di costruire macchine in grado di pensare.
 

Una delle prime testimonianze di intelligenza artificiale la troviamo nell’Iliade, dove Efesto aveva creato, nella sua fucina, quelli che oggi descriveremmo come automi a servizio delle divinità dell’Olimpo


Il primo robot cinematografico arriva sullo schermo con Metropolis (1927), di Fritz Lang, dove il professor Rotwang, all’interno del suo laboratorio, assembla una macchina dai connotati crudeli al servizio del male. La pellicola, annoverata tra le opere di fantascienza più influenti di sempre, segna una nuova fase nella storia dell’automa, non più inteso, come scriveva il professor Vincenzo Tagliasco, «come triste e solitaria marionetta destinata a ripetere all’infinito gli stessi gesti», ma come un essere in grado di interagire con gli esseri umani e l’ambiente esterno. In piena guerra fredda poi, a sconvolgere le carte, arriva 2001: Odissea nello spazio di Kubrick, che nel 1968 costituisce una svolta nel genere, un vero e proprio monolite che ha influenzato e continua ad influenzare generazioni di cineasti. Nel capolavoro di Kubrick uno degli aspetti più interessanti rimane il computer di bordo HAL 9000, che oltre a dialogare con gli astronauti e gestire le funzioni dell’astronave, mostra un livello emozionale estremamente sviluppato, reagendo alla minaccia di disattivazione con spirito di autoconservazione tipico della razza umana. Lo stesso spirito dei replicanti di Blade Runner (1982), anche se a differenza di Hal questi ultimi non sono semplici computer che imitano pensieri umani bensì riproduzioni autentiche e indistinguibili. L’automa Nexus 6 del film di Ridley Scott – utilizzando le parole del sociologo Jean Baudrillard nel suo Lo scambio simbolico e la morte – sembra che venga «incessantemente messo a confronto con l’uomo vivente […] fino a rasentare l’angoscia che ci sarebbe ad accorgersi che non c’è nessuna differenza», un elemento che emerge ancora più rafforzato nel sequel Blade Runner 2049.

Nel film di Denis Villeneuve, ambientato tre decenni dopo l’originale, l’ecosistema è collassato e a causa di un epocale black-out si è perso memoria digitale del passato. In questo futuro distopico l’agente K, un replicante cacciatore di replicanti, scoprirà un segreto (o miracolo) che metterà in dubbio le sue, e le nostre, certezze. Blade Runner 2049 è il trionfo dell’artificiale, un universo di macchine, ologrammi (come Joi, fidanzata virtuale di K) e replicanti di varie generazioni che convivono assieme uniti da sentimenti e desideri comuni. Ma l’importanza del film va oltre la mera narrazione, facendo emergere sottotraccia molte altre tematiche: disastri ambientali, smaltimento di rifiuti, desertificazione, sfruttamento minorile e soprattutto l’incubo della perdita di dati digitalizzati. Il film di Villeneuve è solo l’ultima riprova di come la fantascienza, oltre a raccontare pianeti sconosciuti e guerre intergalattiche, abbia sempre posto in primo piano timori e interrogativi contemporanei e forse mai come oggi continua a farlo. Se si osserva la produzione dell’ultimo decennio salta all’occhio l’interesse rivolto all’intelligenza artificiale. Pensiamo a film come Il mondo dei replicanti di Jonathan Mostow (2009), Real Steel di Shawn Levy (2011), Oblivion di Joseph Kosinski e The Machine di Caradog W. James (2013), Automata di Gabe Ibáñez (2014), Elysium e Humandroid di Neill Blomkamp (2013 e 2015); ai quali possiamo aggiungere WALL•E di Andrew Stanton (2008) e Big Hero 6 di Don Hall e Chris Williams (2014) – entrambi premiati con l’Oscar al miglior film di animazione – e tra le serie tv Westworld di Jonathan Nolan. Immaginando le problematiche dibattute da scienziati e sociologi di tutto il mondo, i film fantascientifici provano a dare forma a queste idee, finendo per fornirci nuovi interrogativi destinati a rimanere irrisolti, ma ciò che realmente fanno questi film è permetterci di riflettere sui dilemmi dell’uomo e della società contemporanea. Così facendo, la fantascienza cinematografica non acquista valore soltanto per quello che racconta apertamente, ma piuttosto per le questioni che suggerisce e che cela nei meandri del film. Nella produzione degli ultimi anni due film si sono contraddistinti per originalità nell’affrontare lo sviluppo tecnologico e il rapporto uomo/macchina: Lei (2013) dello statunitense Spike Jonze e Ex Machina (2015) dell’inglese Alex Garland. Entrambi i lungometraggi, dei quali i registi sono anche autori, analizzano con grande acume e lungimiranza il nascente rapporto tra uomo e tecnologia, riflettendo sul futuro di una società, la nostra, dove macchine, computer e robot potranno sostituire o convivere con l’umanità.


Al momento della sua uscita in sala Lei sembrava raccontare una società ancora lontana, dove i cittadini, tramite una  tecnologia avanzata, restavano perennemente in contatto con il proprio computer. Theodore, il protagonista della storia, decide di acquistare il sistema operativo “OS 1”, dotato di intelligenza artificiale in grado di adattarsi alle necessità del proprietario. Durante la fase di installazione Theodore sceglie una voce femminile per comunicare con il suo “OS”, chiamatosi autonomamente Samantha. Il film racconta la storia d’amore che Theodore e Samantha (della quale sentiamo solo la voce) vivono assieme, provando emozioni e nuove esperienze, arrivando perfino a vivere un rapporto sessuale. Da sempre sperimentatore e innovatore, Spike Jonze anticipa un sesso virtuale che oggi non è più fantascienza: basti pensare all’inventore David Levy che ha ideato e metterà presto sul mercato dei sex robot con il preciso scopo di soddisfare i desideri sessuali degli esseri umani, mentre esistono da tempo realtà virtuali dove vengono simulati dei veri rapporti. Anche le potenzialità dell’OS del film, non sono poi così lontane da Assistent di Google, Siri di Apple, Cortana di Microsoft o Alexa di Amazon.
 

Anche le potenzialità dell’OS del film, non sono poi così lontane da Assistent di Google, Siri di Apple, Cortana di Microsoft o Alexa di Amazon


Certo, la tecnologia non è ancora così sviluppata da riuscire a comprendere lo stato d’animo di una persona in base alle proprie risposte, ma come ha dichiarato il vice presidente di Amazon Werner Vogels il prossimo obiettivo «è la vera comprensione del linguaggio». Concorda in questo anche la giovane filosofa polacca Aleksandra Przegalinska, che ha recentemente dichiarato che «arriveremo a creare macchine che dialogano con gli umani sul piano emozionale» agendo non soltanto in base a calcoli matematici, «ma anche interpretando i nostri sensi e il linguaggio del nostro corpo, e decifrando la nostra psiche». Lei, oltre ad una regia straordinaria, fatta di sequenze e immagini suggestive, ha nella sceneggiatura – Oscar per alla miglior sceneggiatura originale – l’elemento più interessante del film. Un’opera meditativa sul nostro futuro in cui, racchiusi nella nostra solitudine, interagiremo solo con il nostro Pc, incapaci di socializzare e instaurare legami con i nostri simili. Da tutto questo emergono due domande: il grande sviluppo tecnologico porterà realmente dei vantaggi o ci renderà soli incapaci di relazionarsi con gli altri? I benefici di avere un computer intelligente capace di comprende il nostro stato emotivo e sentimentale ci aiuterà a superare le difficoltà o porterà ancora più insoddisfazione e delusione? Ancora non siamo in grado di rispondere a questi interrogativi ma la tecnologia avanza a grande velocità e probabilmente, prima di quanto immaginiamo, le nostre domande troveranno risposta.

 

Nel 2014, un anno prima dell’uscita di Ex Machina, la vendita di robot era aumentata del 29% e si era ritenuto opportuno disciplinare con un nuovo quadro di norme comunitarie l’ascesa dell’intelligenza artificiale in Europa. La relazione, firmata da Mady Delvaux, insisteva «sulla creazione di uno status giuridico per i robot, con la prospettiva di classificare gli automi come “persone elettroniche” responsabili delle loro azioni». In questo clima di preoccupazione e incertezza nasce il film di Alex Garland, con protagonista un giovane ragazzo di nome Caleb selezionato per trascorrere una settimana con l’amministratore delegato dell’azienda per cui lavora: Nathan. Quest’ultimo ha costruito un robot donna dotato di intelligenza artificiale chiamata Ava. Il ruolo di Caleb sarà quello di sottoporre il robot al test di Turing per capire se sia dotata di coscienza, ma il loro frequente contatto porterà il ragazzo ad infatuarsi di lei. Il test di Turing – come spiega lo studioso Enrico Grassani nel suo libro Le macchine pensanti. Intelligenza artificiale e sistemi esperti – si interroga sulle potenzialità mentali delle macchine, basandosi sull’idea «secondo cui una macchina può definirsi intelligente quando la comunicazione con essa non si può distinguere dalla comunicazione con un essere umano». Nel film non solo il test viene superato ma nella conclusione della storia il robot dà vita ad una vera e propria palingenesi, liberandosi di tutti gli elementi artificiali per raggiungere il definitivo stato umano, suggellato in una sequenza finale in cui, in maniera lenta e minuziosa, viene mostrata la definitiva sconfitta dell’uomo nei confronti della macchina.
 

Ex Machina è una riflessione su umano e non umano, organico e inorganico, un distanza che arriva ad essere messa in dubbio rendendo indistinguibile il creatore dal creato


Ava non solo pensa ed è dotata di coscienza, ma è abile nel premeditare un inganno e soggiogare, come una perfetta dark lady, colui che l’aiuta ed ama. Ex Machina è una riflessione sulle ambizioni e sui desideri di un robot, confronto e paragone tra umano e non umano, tra organico e inorganico, una distanza che, nel finale, arriva ad essere messa in dubbio rendendo indistinguibile il creatore dal creato. La delicatezza registica, le atmosfere e i lenti movimenti di macchina donano al film eleganza e raffinatezza, corroborate dallo straordinario realismo del robot. Garland, tramite una sceneggiatura brillante e una messa in scena arguta, non esprime un giudizio perentorio, ma apre a due differenti interpretazioni: la prima è la vittoria (giusta) della macchina sull’uomo, nella quale emerge un invito ad accogliere una nuova forma di vita e accettarla all’interno della nostra società senza timore che possa rappresentare un rischio per l’estinzione umana. La seconda, in netta antitesi con la precedente, vede i robot come macchine incontrollabili, capaci di sottomettere ed ingannare pur di portare a compimento i propri piani. La luce del sole sta per sorgere su una nuova società, a voi la scelta, sarà un nuovo inizio o l’inizio della fine?


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