Nope è uno spettacolare film sullo sguardo

Il cinema e il rapporto dell’uomo con lo spettacolo nel nuovo film di Jordan Peele

Per me, essere riuscita a vedere Nope prima che suscitasse clamore sarà probabilmente l’esperienza più vicina a quella di chi ha visto Lo squalo al cinema nell’estate del 1975. Di tutti i film che ho avuto la fortuna di recensire, nessuno è mai stato difficile quanto la nuova opera di Jordan Peele; non tanto perché io non abbia niente da dire a riguardo, ma perché temo di dire troppo. L’astuta campagna pubblicitaria di Nope ha saputo celare molto della trama e dei temi (dopotutto per Peele sono sempre gli stessi). La mia preoccupazione di rivelare troppo, dunque, non sorge dall’idea che il film sia interessante solo in relazione agli eventi rimasti ben celati, ma è causata dal riconoscimento della sua struttura originale e controllata. Nope è un film che non può essere visto in altro modo se non intatto e per intero.
 

Nope è un film che non può essere visto in altro modo se non intatto e per intero


È la storia di due fratelli, Otis Jr. “OJ” (Daniel Kaluuya) ed Emerald “Em” (Keke Palmer), che gestiscono un’azienda di famiglia nel settore cinematografico addestrando cavalli per i film. L’azienda si chiama Haywood’s Hollywood Horses, e i due protagonisti appartengono a una stirpe regale nel settore: sono discendenti del fantino immortalato a cavallo nell’esperimento fotografico di Edward Muybridge del 1878. In seguito, queste foto, montate in successione, divennero la prima sequenza cinematografica della storia. I due fratelli vivono in una fattoria in una vallata remota e pittoresca del sud della California, circondata da colline splendenti e polverose che avrebbero fatto venire l’acquolina in bocca a John Ford. Proprio in questa vallata cominciano ad accadere strani eventi e OJ vede in cielo ciò che sembra essere un disco volante. I fratelli non sanno bene cosa fare, specialmente perché la presenza non sembra del tutto pacifica. Em crede che riprenderla darà alla fattoria l’attenzione e i soldi necessari per salvare la loro attività, che dalla morte del padre (interpretato dal grande Keith David) stava andando in bancarotta. Per stare a galla, OJ ha dovuto vendere alcuni dei cavalli, molti dei quali a Ricky “Jupe” Park (Steven Yuen), un ex bambino prodigio divenuto un impresario di un parco divertimenti a tema western, una finta cittadina in stile selvaggio West chiamata «Jupiter’s Claim». Da bambino, Jupe è sopravvissuto per un soffio a un’esperienza traumatica quando, durante le riprese del suo show televisivo, un animale è impazzito. Lui ha rielaborato questa esperienza trasformandola più e più volte in forme diverse di intrattenimento.

Questo introduce il tema principale del film, che riguarda il rapporto tra lo «spettacolo» (una parola chiave in Nope) e le esperienze di orrore, terrore e pericolo: il fatto che l’essere umano ha bisogno di trasformare questi incontri terrificanti e incomprensibili in intrattenimento, per superarli, soprattutto se riguardano l’imperscrutabilità del mondo naturale. Il film descrive la differenza tra gli esseri umani e gli animali e il potere immenso della natura. La tesi esposta nella pellicola si riferisce alla precarietà dell’intervento umano e al totale fallimento dei nostri tentativi di controllare e recintare creature e forze diverse da noi. Il fatto che i fratelli riescano ad affrontare l’UFO (un’entità che per loro è estremamente potente e misteriosa) soltanto riprendendolo incapsula perfettamente il tema. Filmare qualcosa distanzia lo spettatore dal soggetto, lo rende leggibile e sicuro.
 

Peele è un maestro nel creare immaginari iconici, ed è chiaro, mentre si guarda Nope, che molti dei suoi elementi estetici diventeranno indelebili nella storia del cinema


Il film ha molto da dire riguardo alla differenza tra il guardare qualcosa e l’«osservarlo» attraverso la sicurezza di un simulacro, e la cosa mi ha spinto, tornata a casa, verso i testi di teoria cinematografica nella mia libreria, a sfogliare i saggi di Christian Merz, Laura Mulvey e Thomas Elsaesser. Nope è talmente concentrato e ricco, e ha così tanto da dire riguardo alla nostra relazione con i film, che vorrei scrivere un saggio in merito piuttosto che una recensione; voglio andare più in profondità nell’affrontare il modo in cui sviluppa i significati e si inoltra ancora di più nella conversazione sull’«apparenza» e lo «sguardo» e altri pensieri semi-lacaniani su cosa facciano davvero per noi i film e altre forme di intrattenimento. Nope affronta diffusamente questo tema, già prima che il film stabilisca un legame familiare tra sé e la prima pellicola cinematografica, le fotografie sequenziali di Muybridge. Tutto il film parla di macchine da presa, lenti, e di cattura. Lo scenario del vecchio West, con le sue armi da fuoco, è appropriato quando si parla di «mirare» a qualcosa, di prendere le sue sembianze, cercare di conoscerlo visivamente. Il film è una gioia da analizzare, ma resta estremamente accessibile e divertente. Si tratta di intrattenimento con la I maiuscola. Anche se il film non è un horror di per sé, ci gira intorno, creando con cura la tensione, che di tanto in tanto viene sottolineata con scene spaventose, prima di galoppare verso il terzo atto che ti tiene con il fiato sospeso. Peele è un maestro nel creare immaginari iconici, ed è chiaro, mentre si guarda Nope, che molti dei suoi elementi estetici diventeranno indelebili nella storia del cinema. Il film è un parco giochi visuale, mette insieme idee visive innovative con la giusta dose di nostalgia cinematografica.

Anche i personaggi sono costruiti in maniera eccellente, sono sufficientemente archetipici da stare insieme ma allo stesso tempo sono memorabili come individui, e portati in vita da attori di grande talento. Le performance in Nope sono tra le migliori di quest’anno: Palmer mette insieme un bilanciamento perfetto di carisma e grinta, mentre Kaluuya interpreta il fratello stoico con un pathos estremo, creato dai silenzi e dai piccoli dettagli, elementi che l’attore gestisce particolarmente bene. Michael Wincott con la sua voce roca interpreta un cameraman brizzolato che ha visto di tutto, ma nulla di paragonabile a questo, un veterano nella squadra che ricorda Quint de Lo squalo. Brandon Perea, dal canto suo, con il personaggio di Angel, un tecnico chiacchierone interessato agli UFO che si fa coinvolgere nella missione dei due fratelli, arriva quasi a rubare la scena ai protagonisti (un’impresa non da poco). Il film è girato con macchine da presa IMAX, perciò se potete guardatelo sul grande schermo, dopotutto è un film sullo sguardo, quindi è bene fruirlo nel modo giusto. E questo è un ulteriore promemoria della dichiarazione del film: quando non puoi scappare e non puoi nasconderti, tutto quello che puoi fare è osservare.

 

 

Olivia Rutigliano è un’autrice statunitense. È autrice per Literary Hub e CrimeReads, ha scritto per Vanity Fair, Lapham’s Quarterly, Public Books. Questo articolo è stato pubblicato su Literary Hub il 22/07/2021 ► Nope is a Masterclass on Our Relationship to Entertainment  | Traduzione di Valentina Pesci


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