Niente di nuovo sul fronte nucleare

La politica estera iraniana e la nuova fase del dialogo con l'occidente

Il 24 settembre Hassan Rouhani, il neo-eletto presidente iraniano ha parlato all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York. Membro del clero sciita, accademico, avvocato, comandande dell'areonautica militare e secondo in comando dello stato maggiore durante la guerra Iran-Iraq, Rouhani è un eminente diplomatico ed è stato il responsabile dei negoziati sul programma nucleare iraniano dal 2003 al 2005. Eletto presidente del paese lo scorso 14 giugno con un largo margine, Rouhani ha subito proposto un cambio di rotta nel rapporto con i paesi occidentali all'insegna della moderazione e del dialogo.
Il presidente iraniano ha da subito mostrato un nuovo approccio in particolare con gli Stati Uniti, con i quali il paese non ha ufficiali rapporti diplomatici dalla crisi degli ostaggi del 1979. Il neo presidente ha diligentente provato a migliorare l'immagine dell'Iran all'estero, ad esempio tramite gli auguri via twitter alla comunità ebraica, tramite un'intervista alla NBC e scrivendo un editoriale sul Washington Post. Inoltre più significativa è la storica conversazione telefonica e lo scambio epistolare con il presidente Obama nonché il rilascio di prigionieri politici, tra cui l'avvocato e attivista per i diritti umani Nasrin Sotoudeh. Riguardo al nucleare Rouhani ha inoltre dichiarato più volte che l'Iran «non ha mai cercato di costruire una bomba nucleare», e ancora «abbiamo detto più e più volte che in nessuna circostanza cercheremmo di ottenere una qualsiasi arma di distruzione di massa, inclusa l'arma nucleare, né mai lo faremo». Rouhani ha insistito più volte sulla natura pacifica e meramente energetica del programma nucleare del paese.

Nonostante questo cambio di stile e questa apertura verso l'occidente, il discorso del presidente Rouhani all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha ripreso in buona parte nei contenuti i temi del suo predecessore. Dal podio Rouhani  ha sciorinato la più che familiare lista di lamentele, parlando dell'accanimento verso il suo paese, della repressione del popolo palestinese e degli interessi delle forze “guerrafondaie” negli Stati Uniti. Ha condannato con forza le sanzioni che pesano gravemente sull'Iran, comparandole con le misure punitive inflitte all'ultimo Iraq di Saddam Hussein e sottolineandone l'impatto sulla popolazione e non sull'élite politica; le sanzioni hanno infatti causato gravissime conseguenze economiche al paese, tagliandolo fuori dal sistema finanziario internazionale, dimezzandone le rendite petrolifere e svalutando pericolosamente la valuta nazionale. Rouhani ha anche però ripetutamente parlato di tolleranza cercando di normalizzare a chiare lettere la posizione politica del suo paese nel sistema internazionale: «l'Iran non pone assolutamente nessuna minaccia al mondo o alla sua regione». Ha ribadito anche in questa occasione lo scopo pacifico del programma nucleare del paese, senza però proporre soluzioni per il raggiungimento di un compromesso sulla questione.
Contro la delusione di molti osservatori per il discorso alle Nazioni Unite, Rouhani ha dichiarato successivamente l'intenzione di raggiungere un accordo sul suo programma nucleare entro 3-6 mesi. Tuttavia il pragmatismo del neo presidente non deve trarre in inganno; nonostante questa apertura possa rappresentare una svolta nelle relazioni diplomatiche dell'Iran, e in particolare un “nuovo inizio” nei rapporti con gli Stati Uniti, gli obiettivi strategici del paese sono rimasti immutati e sono ben presenti al suo presidente e alla sua Guida Suprema, l'Ayatollah Ali Khamenei.

Gli studiosi di relazioni internazionali ricordano chiaramente la buona fede e l'intento a normalizzare le relazioni della Germania dopo la prima guerra mondiale, gli encomiabili sforzi del cancelliere e poi ministro degli esteri Gustav Stresemann che portarono agli accordi di Locarno del 1925 e all'ingresso tedesco nella Società delle Nazioni del 1926. La normalizzazione tedesca fu il primo passo vincente per rimuovere lo status di “stato canaglia” per poi riprendere a perseguire obiettivi di interesse nazionale.
La scelta del moderato Rouhani e la volontà di sedersi al tavolo (già a Teheran da mercoledì prossimo gli incontri del gruppo P5+1 sull'arricchimento dell'uranio) rappresentano il tentativo di normalizzare la posizione del paese per rimuovere il suo status di paria. Non a caso Rouhani a New York ha parlato duramente dell' «infondata retorica religio-fobica, islamo-fobica e Shia-fobica» contro il suo paese. L'Iran ha bisogno di sottrarsi dai riflettori dell'opinione pubblica mondiale per conseguire l'obiettivo di costruire l'arma atomica o più semplicemente di completare il proprio ciclo del combustibile nucleare, ossia di ottenere la capacità di produrre sufficiente materiale per la costruzione della bomba.
Un fatto questo strategicamente equiparabile al possesso dell'arma atomica. In questo modo sarebbe possibile bilanciare l'arma nucleare isrealiana, ossia la principale minaccia alla sicurezza della Repubblica Islamica dell'Iran. D'altronde come ha riportato l'agenzia Reuters lo scorso giugno, Rouhani stesso ha più volte in passato approvato sia la segretezza del programma nucleare sia la possibilità di presentare all'occidente il fatto compiuto delle raggiunte capacità di arricchimento dell'uranio del paese: «Se un giorno saremo in grado di completare il ciclo del combustibile nucleare e il mondo vedrà che non avrà altra scelta, circa il fatto che possediamo la tecnologia, allora la situazione sarà differente». Ancora riguardo all'arricchimento e in linea con il suo stile pragmatico: «Non dobbiamo avere fretta. Dobbiamo muoverci con molta attenzione in maniera estremamente calcolata».

Il presidente Rouhani conosce alla perfezione la situazione strategica e gli obiettivi del suo paese, oltre agli alti incarichi diplomatici e di governo e oltre ad essere stato deputato dal 1984 al 2000, è tuttora membro del Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale di cui è stato il primo segretario nel 1989, e capo del principale think-tank del paese, il Centro per la Ricerca Stragica. Dunque non deve sorprendere che il programma nucleare iraniano non abbia subito un rallentamento dalla sua elezione, tutt'altro. Oltre alle 1000 nuove centrifughe IR-2m, l'Iran sembra aver iniziato a produrre carburante per un reattore ad acqua pesante impiegato nella produzione del plutonio. Un istituto di sicurezza statunitense ha dichiarato che entro metà del 2014 l'Iran avrà la capacità di produrre, senza essere controllato, sufficienti quantità di uranio arricchite al livello necessario per ottenere una bomba atomica. Quello che Rouhani ha fatto è invece limitare la crescita delle scorte delle relative materie prime, un'azione chiaramente rivolta agli occidentali come segno di buona fede per l'apertura dei negoziati.
Come bisogna quindi giudicare l'apertura e la moderazione del nuovo Iran di Rouhani, dopo 8 anni della feroce retorica di Ahmadinejad? La nuova linea in politica estera è perfettamente coerente con la grande strategia dell'Ayatollah Khamenei, il quale vede possibile un riavvicinamento del paese con gli Stati Uniti ma al di fuori della loro egemonia e senza le interferenze nello sviluppo tecnologico del paese. Un tipo di relazione che potrebbe assomigliare a quella tra gli USA e la Cina, sostanzialmente paritaria, di reciproco beneficio e senza mutua ingerenza negli affari domestici. Come ha scritto autorevolmente Akbar Ganji su Foreign Affairs, Khamenei vuole continuare ad essere in grado di promuovere la democrazia islamica come un'alternativa alla democrazia liberale, più o meno come l'alternativa comunista viene oggi tollerata dagli Stati Uniti.

La lotta per promuovere un modello alternativo è coerente con le esigenze di sicurezza e con l'attuale culturale religiosa alla base del modello istituzionale della Repubblica Islamica dell'Iran. È questa la luce con cui bisogna leggere le parole che Rouhani ha affidato al Washington Post: «Per noi, completare il ciclo del carburante nucleare e generare energia nucleare riguarda la diversificazione delle nostre risorse energetiche e riguarda anche chi sono gli iraniani come nazione, riguarda la nostra richiesta di dignità e rispetto e riguarda il nostro conseguente posto nel mondo».
È improbabile che l'Iran smetta di perseguire i suoi obiettivi di sicurezza, tra cui il programma nucleare. Quello che la “svolta” moderata di Rouhani mostra è il fallimento della linea estrema di Ahmadinejad e la volontà di Khamenei di inaugurare una nuova fase diplomatica. Ma che questa conduca alla riconciliazione dell'Iran con buona parte della comunità internazionale, al momento è solo una lontana speranza.


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