La Storia in soggettiva

Il realismo contemporaneo del cinema italiano, da Zavattini a Virzì

«La Storia può essere concepita e raccontata in modo tale che, attraverso i singoli episodi di individui, il suo significato essenziale e la sua connessione necessaria segretamente vi traspaiano». Parole, quelle di Hegel, universali e valide in ogni contesto volto a interrogare la Storia e il modo di narrarla. Parole che fanno l’occhiolino a tutto quel cinema italiano che dal neorealismo, al cinema d’impegno, al nuovo realismo all’italiana si è interrogato sul come raccontare e portare al cinema la Storia, i suoi protagonisti e i suoi testimoni.
Ogni film e ogni storia raccontata è figlia del proprio tempo ma è nel secondo dopoguerra, con il Neorealismo e il suo nuovo modo di concepire e fare cinema, che in Italia la Storia diviene protagonista sullo schermo. Registi come Rossellini, De Sica, Visconti, De Santis portarono l’attualità della Storia al cinema. Pensiamo a Roma città aperta (1945) di Rossellini che tratta gli avvenimenti del 1943-1944 intrufolandosi con la macchina da presa nelle strade ancora devastate dalla guerra. O a Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica che riprende uno spaccato di vita reale, dura, raccontata dalle voci anonime degli attori non professionisti provenienti dalle strade, dalle borgate delle città. La critica alla società in questi film è accompagnata da una ripresa della realtà così com’è e da uno sfondo storico contemporaneo.
Cesare Zavattini propose un nuovo modo di fare e concepire il cinema. Attraverso le formule del film-lampo, film-dell’istante, lanciò un cinema che avrebbe dovuto raccontare il presente storico. Le sue idee si concretizzarono nei progetti dei Cinegiornali liberi e di film come Siamo Donne,  che raccoglieva vari cortometraggi di autori come Rossellini, Visconti, Zampa, Franciolini. Il tema affrontato, nella forma del simil-documentario, era quello del divismo e del rapporto della gente comune con il cinema. In questo primo esperimento Zavattini esortò  i registi ad interrogare la realtà e ad unire la soggettività dell’autore all’oggettività della Storia narrata. Il cinema teorizzato e messo in pratica da Zavattini è un cinema che si fa insieme alla Storia, un cinema che segue e  racconta l’uomo dentro gli avvenimenti.

Qual è oggi il rapporto del cinema contemporaneo con la Storia? Ha smesso forse di interrogarla, ha deciso di nasconderla dietro la macchina da presa? Ultimi autori del cinema d’inchiesta e politico, che sulla scorta degli insegnamenti di Zavattini avevano  imparato a muoversi come testimoni nel reale, furono Francesco Rosi, Elio Petri, Pietro Germi, Giuseppe Ferrara. Autori che portarono al cinema la Storia italiana dei loro anni. Francesco Rosi in Le mani sulla città (1963) pose al centro della sua indagine filmica la speculazione edilizia meridionale degli anni ‘60 e gli intrighi dei partiti politici interessati ad una fetta del territorio, Elio Petri con Todo modo (1976) realizzò un cupo e grottesco ritratto della classe dirigente italiana che governava il paese in quel periodo, con un occhio di "riguardo" alla Democrazia Cristiana. La censura si abbattè su molti film, come Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970), che sullo sfondo dell’Italia di quegli anni, immersa in un clima perenne di tensione politica e sociale, racconta di un capo della sezione omicidi, offuscato dal potere, il quale agisce oltrepassando i limiti della legge. Alla Storia vengono dati volti reali come nel cinema di  Giuseppe Ferrara che portò sugli schermi i volti del potere ne Il Caso Moro (1986) e in Cento giorni a Palermo (1984), film che indaga sulla cupa storia di quegli anni, gli anni dell’assassinio del generale Dalla Chiesa.

Oggi il cinema d’inchiesta ha cambiato volto, lo possiamo trovare nel nuovo modo di fare giornalismo, un giornalismo di inchiesta alla Report o tradotto nel linguaggio video della rete. Difficilmente la storia dei giorni nostri, con i suoi volti reali, viene rappresentata sugli schermi. Ma un nuovo realismo all’italiana invade le nostre sale. Un nuovo realismo che racconta la nostra Italia attraverso una Storia in soggettiva, attraverso i personaggi che da essa sono toccati inevitabilmente. Le pellicole di autori come Garrone, che attraverso Gomorra (2008) racconta storie di criminalità organizzata, di mafia, di violenza e stupro ambientale che riguardano l’Italia odierna. E l’opera di Nanni Moretti Il Caimano (2006), metafora a tratti reale che vuole rappresentare la società italiana del periodo berlusconiano si collocano a metà tra il nuovo realismo e il cinema d’impegno. A loro si aggiungono film come Diaz (2012) di Daniele Vicari, un’opera che mostra un episodio della storia recente relativo ai movimenti di contestazione del G8 di Genova del 2001 e in ultimo Viva la Libertà (2013) di Roberto Andò che facendo il verso al clima politico odierno maschera la Storia sotto altri volti. Mentre autori come Placido, Martone, Bellocchio, Marco Tullio Giordana si confrontano con la Storia italiana del dopoguerra o con l’Italia degli anni ‘60, ‘70 cercando di scioglierne i nodi o come Martone in Noi Credevamo (2010) cercando di ritrovare il sentimento di unione popolare, altri autori portano in scena personaggi e storie dell’italia contemporanea. Tutto il cinema di Paolo Virzì ha come sfondo le difficoltà della realtà storica in cui i suoi personaggi si muovono. Nell’ultimo  suo film Il Capitale umano (2014) il regista toscano mette in scena la crisi economica, di valori e dei sentimenti che ha inghiottito il nostro paese negli ultimi anni. Paolo Sorrentino attraverso La Grande Bellezza (2013) mette in luce la decadenza culturale in cui siamo andati incontro, sullo sfondo di una Italia alla deriva, Gianni Amelio con l’Intrepido (2013) racconta le difficoltà lavorative con cui si devono scontrare le nuove generazioni. I problemi dell’immigrazione con cui l’Italia deve confrontarsi sono portati al cinema da  Emanuele Crialese con Terra Ferma (2011). Il genere del simil-documentario resiste con opere come Bellas Mariposas (2012) di  Salvatore Mereu che, camera a mano, segue la sua giovane protagonista nei caseggiati della periferia di Cagliari testimoniando ciò che accade quotidianamente nella città. Il nuovo realismo italiano tratta la Storia in soggettiva, lo fa lasciando parlare i personaggi e le loro storie sottolineando i cambiamenti che la Storia ha apportato alle loro vite.

La realtà, sociale e politica, che avvolge l’individuo è ed è sempre stata protagonista di un certo cinema italiano. Ma la Storia e quella politica di cui protagonisti non sono tutti i cittadini e che il cinema d’inchiesta e d’impegno aveva messo in luce negli anni di piombo dove si è nascosta? Se non in qualche fotogramma, in qualche raro film o nelle vesti del genere del documentario che, in Italia tanto sta prendendo piede, essa non viene raccontata. La Storia diviene, in questo nuovo cinema, co-protagonista dei personaggi poichè l’interesse dei nuovi autori è spostato sulle conseguenze di essa sull’uomo piuttosto che sulla Storia in sè. Al centro vi è l’uomo e la sua storia privata che si forma, cambia e cresce all’ombra della  realtà storica e sociale in cui lui vive e agisce. Cambiano quindi i modi di portare in scena la realtà, cambiano i punti di vista ma la voglia di interrogarsi, di far vedere, di rendere partecipe il pubblico, di informarlo non cessa di alimentare i registi del nuovo cinema italiano.  Il cinema si trova ad affrontare un grande mutamento, deve scontrarsi con il mercato della televisione, con i nuovi mezzi di comunicazione, con la decadenza culturale e con l’industria cinematografica sempre più interessata al guadagno e meno alla qualità. Non ci resta che continuare ad avere fiducia nel nostro cinema, soprattutto in quel cinema sommerso e di qualità che, anche se nascosto e poco pubblicizzato, rimane e può essere fucina di creatività e novità.


Commenta