Riprendiamoci l’arte

Bernardine Evaristo, autrice di Ragazza Donna Altro, racconta la rivincita delle artiste nere

Quando ho sentito che la fotografa Ingrid Pollard è risultata finalista al premio Turner, potenzialmente il riconoscimento più importante nel mondo dell’arte, ero felicissima ma anche stupefatta. Felice perché la sua arte merita questo tipo di attenzione, stupefatta perché ci è voluto così tanto tempo per puntare i riflettori su Pollard, che tra l’altro conosco da quarant’anni e ha superato da un bel po’ la soglia dei sessanta. Anche la scultrice Veronica Ryan è finalista. Come Pollard, è dagli anni ‘80 che fa questo lavoro.
 

Come mai ci è voluto così tanto tempo?


Sono deliziata dal fatto che le artiste nere più in là con gli anni stiano finalmente avendo il loro momento. Sonia Boyce, anche lei diventata adulta negli anni ‘80 e rappresentante dell’Inghilterra alla Biennale d’arte di Venezia con la sua mostra Feeling Her Way, ha vinto il prestigioso Leone d’Oro per la Migliore Partecipazione Nazionale. Anche Simone Leigh, rappresentante degli Stati Uniti, ha vinto il Leone d’Oro come Migliore Partecipazione alla Mostra per la sua scultura in bronzo Brick House. Dalla fondazione della Biennale 127 anni fa, sono le prime donne nere a rappresentare il proprio paese. La cosa dovrebbe lasciarci quanto meno scioccati. Tra le altre notizie, Everlyn Nicodemus, classe 1954, diventerà a breve la prima donna nera ad avere in mostra un proprio autoritratto alla National Portait Gallery (fondata nel 1856) come parte di un progetto per migliorare la rappresentazione femminile nella galleria. Come mai ci è voluto così tanto tempo?
 


Alcuni sono riluttanti a dare troppa attenzione a queste pietre miliari, come se non fossero importanti, ma lo sono, eccome se lo sono. Quando ci si occupa dell’esclusione storica di alcuni gruppi demografici all’interno dell’arte bisogna sapere contro che cosa ci stiamo scontrando. Spesso è solo quando facciamo i conti e vediamo le pagine di statistiche nero su bianco che la disparità di rappresentazione diventa evidente. Recenti studi condotti negli Stati Uniti hanno rivelato che l’85% degli artisti le cui opere vengono esposte in mostre permanenti di rilievo sono bianchi, mentre l’87% sono uomini. Immagino che la situazione in Inghilterra sia simile. Il premio Turner, dalla sua istituzione nel 1984 e per i trent’anni successivi, è stato vinto da 25 artisti maschi. Questo è indicativo di una cultura artistica controllata dagli uomini che, essendo stati per gran parte della storia i giudici assoluti di cosa si dovesse ritenere eccellente, rilevante e importante, hanno dato grande importanza all’estetica, al contesto e persino alle politiche artistiche prodotte dagli uomini. A quelli che ribattono con sdegno che le donne semplicemente non producevano opere altrettanto notevoli, rispondo che non è vero. Tutta la questione gira attorno al valore che si attribuisce all’arte e a chi si arroga del diritto di decidere questo valore. Tutte le donne fin qui menzionate sono, secondo la mia opinione, artiste straordinarie con talenti unici che offrono prospettive non reperibili altrove. La qualità, in qualsiasi modo la definiamo, viene sempre prima.
 

A quelli che ribattono con sdegno che le donne semplicemente non producevano opere altrettanto notevoli, rispondo che non è vero


Gli artisti neri maschi Isaac Julien, Steve McQueen, Chris Ofili e Yinka Shonibare si sono meritatamente guadagnati le luci della ribalta più di vent’anni fa, ma le artiste nere hanno dovuto operare all’interno di un contesto che non era solo bianco ma anche patriarcale. Per esempio, i potenti ritratti raffiguranti donne nere di Claudette Johnson, un’altra della scuola degli anni ‘80, non hanno avuto la benché minima speranza di trovare l’attenzione che meritavano fino a poco tempo fa, quando nel 2019 è stata fatta una mostra importante al Modern Art Oxford. Nel catalogo Claudette Johnson spiega le ragioni della sua arte: «Molto tempo fa ho iniziato a pensare a come le donne occupano lo spazio nel mondo e allo spazio assegnato alle donne nere all’interno dei media e della società inglese. Penso che lo spazio che ci offrono sia molto angusto e soffocante. Quindi invito le mie modelle a occupare lo spazio in un modo che rifletta la loro identità e i loro gesti naturali». Se paragonassi i dipinti di Lucian Freud con quelli di Johnson, so che attribuirei più valore – artistico, culturale, economico – alla sua arte. La reputazione di Freud è stata a lungo strettamente legata alla nostra cultura. Il suo dipinto di Sue Tilley è stato venduto per 17,2 milioni di sterline nel 2008. Eppure, preferirei di gran lunga avere in soggiorno uno dei ritratti di Johnson.

Quando Lubiana Himid è stata insignita del premio Turner, nel 2017, aveva 63 anni, era al contempo la prima donna nera e la persona più anziana ad aver ricevuto questo riconoscimento. È stato un momento molto importante, che molte di noi hanno celebrato. Non si trattava solo di una sua personale vittoria, ma di una vittoria per le donne nere, per le donne razzializzate, per le donne più mature e per tutte quelle artiste in là con gli anni che facevano ancora fatica a emergere e si sentivano trascurate. Himid ha potuto partecipare al concorso grazie alla decisione del comitato di abrogare la norma sulla restrizione di età, che limitava l’accesso ai soli partecipanti che non avessero ancora compiuto cinquant’anni, norma che perpetrava il mito secondo cui chi non sfondava entro i cinquanta non lo avrebbe mai fatto. Il premio letterario Granta Best Young British Novelists, che si tiene circa ogni dieci anni, opera nello stesso modo: solo chi non ha ancora compiuto il quarantesimo anno di età può partecipare.
 

Non si trattava solo di una sua personale vittoria, ma di una vittoria per le donne nere


Questo tipo di restrizioni implicano che solo i giovani possono produrre opere fresche ed emozionanti, solo loro sono il futuro. È vero che hanno più compleanni davanti a loro rispetto ai colleghi più anziani, ma per ogni talento che va a perdersi con l’età ci sono molti più artisti che stanno producendo le loro opere migliori attingendo da una forte esperienza di vita, competenze affinatesi negli anni, una matura comprensione della complessità umana e un irriducibile spirito d’avventura. Riassumendo: invecchiare non è sinonimo di decadenza, mummificazione e irrilevanza. Alcune delle migliori romanziere nere che hanno attirato l’attenzione del pubblico recentemente hanno più di quaranta o addirittura più di cinquant’anni, come ad esempio Yvette Edwards, Sara Collins, Kit de Waal e Jacqueline Crooks, il cui romanzo d’esordio, Fire Rush (L’impazienza del fuoco), verrà pubblicato in Inghilterra la prossima primavera. Scrittrici alle prese con il loro secondo romanzo, dopo una lunga pausa, includono Jacqueline Roy e Nicola Williams, il cui romanzo poliziesco The Advocate’s Devil (L’avvocato del diavolo) uscirà sempre nella primavera del 2023. E fermiamoci un attimo a parlare dell’installazione alla Tate Britain di Chila Kumari Singh Burman durante il lockdown. Con quarant’anni di carriera alle spalle ha creato un’esibizione accecante e mai vista prima di sovversione radicale, di colore e di energia.
 


I premi contribuiscono al successo degli artisti; alcuni più di altri. È abbastanza ovvio che ci siano diversi modi di definire il concetto di successo. Secondo me, l’ambizione creativa, l’originalità e la piena realizzazione dell’artista sono i principali, seguiti da segnali esterni come il riconoscimento critico, il ritorno finanziario, l’influenza e il pubblico. Himid, che era già un’artista di successo con opere esposte nelle gallerie di tutto il mondo, ha raggiunto nuove vette dopo aver vinto il premio Turner: infatti, il tempio inglese dell’arte contemporanea, la Tate Modern, sta ospitando una retrospettiva in cui sono esposte le sue opere nuove e quelle vecchie. Un altro importante traguardo raggiunto da un’artista nera inglese. Il premio Turner sta rimediando a tutto il tempo che ha perso. Altre due donne nere sulla cinquantina hanno beneficiato di questo recente cambio di rotta: Helen Cammock, vincitrice ex-aequo con altre tre persone nel 2019, e Liz Johnson Artur, beneficiaria assieme ad altri della borsa di studio Turner istituita nel 2020 per sopperire alla cancellazione del premio.

In quanto donna nera vincitrice del Booker Prize, alla tenera età di sessant’anni, posso dire che da allora la mia carriera ha davvero preso il volo. Mi è sembrato il momento giusto per vincerlo; i giornalisti rimangono sorpresi nel vedermi soddisfatta di aver sfondato a quest’età. Di sicuro sarebbe stato meglio per la mia carriera se questo momento fosse arrivato nella mia giovinezza, no? No. Al punto della mia vita in cui sono ora, ho un intero corpus di opere alle mie spalle, una profonda etica del lavoro, sicurezza nella mia pratica creativa e un’ambizione continua a espandere la mia tecnica e continuare a crescere. Vincere un premio da “senior” significa che ho evitato potenziali trappole. Ha fatto prendere il volo alla mia carriera, ma spero non al mio ego, né mi ha disconnesso dalla mia comunità o schiacciato col peso delle aspettative. Sessant’anni trascorsi a vivere senza essere famosa è un tempo abbastanza lungo per imparare a conoscersi e provare un profondo senso di gratitudine quando capita qualcosa di bello. Himid, Johnson, Pollard e Boyce sono state figure chiave nella comunità creativa delle donne di colore degli anni ‘80 di cui io facevo parte, in quanto giovane regista di teatro e combinaguai. Himid ha curato tre mostre di artiste nere di fondamentale importanza in quel periodo, periodo in cui le donne razzializzate non avevano l’opportunità di entrare nelle gallerie d’arte e nei musei prestigiosi, se non forse per indossare la divisa del catering e servire quiche lorraine o arrosto con contorno di rucola e chicchi di melograno.
 

La comunità artistica a cui appartenevamo poneva le donne al centro di tutto


Pollard era la fotografa e la grafica delle locandine per Theatre of Black Women, la compagnia di teatro itinerante che ho co-fondato nel 1982 con Paulette Randall e Patricia St Hilaire. Come ho scritto nel mio memoir, Manifesto: On Never Giving Up (Manifesto: non arrendersi mai), «la comunità artistica a cui appartenevamo poneva le donne al centro di tutto. La compagnia non era un collettivo, ma eravamo connesse a una comunità più ampia, motivo per cui non ci sentivamo isolate, anche se eravamo marginalizzate in quanto donne di colore sia quando eravamo in spazi bianchi femministi sia quando eravamo in spazi predominantemente maschili. Nella nostra compagnia eravamo il centro di ogni cosa». Questo ha giocato un ruolo centrale nella nostra sopravvivenza e ha posto una solida base per le nostre carriere future. Non eravamo sole. Non dovevamo spiegare a noi stesse perché l’arte che creavamo partiva dalla nostra prospettiva e sapevamo di avere un pubblico, per quanto piccolo. Pollard è stata una sostenitrice della nostra compagnia teatrale. Pacata, affidabile, creativa, aveva i rasta, come molte di noi, ma più che un simbolo di adesione al movimento rastafariano erano un simbolo di ribellione contro una società che ci opprimeva. Nei decenni successivi non ha mai smesso di perseguire la sua carriera come fotografa, costruendosi un solido portfolio fatto di mostre, alcune di gruppo altre esclusive, di esperienze come artist-in-residence e corsi, così come premi, fra i quali il più prestigioso che ha vinto è stato il Baltic Artists Award nel 2019.

Oltre a queste donne che stanno spaccando tutto, ce ne sono altre loro coetanee che si sono formate nella cerchia di artiste nere durante gli anni ‘80. Adjoa Andoh, che interpreta la formidabile Lady Danbury in Bridgerton, una delle serie tv che hanno avuto più successo negli ultimi anni, ha iniziato la sua carriera con uno spettacolo teatrale intitolato Where Do I Go from Here? (E ora dove vado?) scritto e curato da donne nere che ho visto nel 1984 al Drill Hall Theatre a Londra. Dopo aver goduto di una lunga e soddisfacente carriera, che include spettacoli al National Theatre e aver lavorato con la Royal Shakespeare Company, ora è diventata un fenomeno globale, non un’ingenua inesperta tirata fuori dal nulla e piazzata sotto le luci dei riflettori, ma una tespiana che la sa lunga con una carriera che ha preso il volo. In sostanza, se la può cavare.

Jackie Kay è una star della letteratura da diverso tempo ormai, ha persino ricoperto il ruolo di Makar, ovvero di poeta nazionale scozzese ufficiale per ben cinque anni di seguito. Dovremmo anche prestare più attenzione alle artiste visive più mature che non ricevono abbastanza esposizione mediatica come Joy Gregory e Sutapa Biswas. L’apprezzamento di un’artista non dovrebbe dipendere dalla vincita di premi prestigiosi e dal numero di persone che riesce a portare in galleria. Una vita nelle arti significa resistere alle inevitabili vicissitudini. Potresti guardare per anni le tue colleghe superarti, e ti potresti sentire lasciata indietro. Per alcune questo potrebbe significare avere difficoltà a creare dovute alla bassa autostima, o aver problemi a trovare lavoro o ad avere l’attenzione che si merita. Il lato positivo è che queste avversità ci forgiano e, se siamo abbastanza determinate, ci rendono invincibili. Questo potrebbe voler dire che lo stipendio non sia tanto dato dal lavoro creativo quanto da altre attività che non hanno nulla a che vedere con la creatività, com’è stato ad esempio per me. Altri che hanno avuto un successo istantaneo dovranno poi anche fare i conti con le pressioni che questo comporta quando si è agli inizi della carriera.
 

Finché la società non cambierà il suo atteggiamento negativo verso la vecchiaia, specialmente nei confronti delle donne, ci sarà sempre la paura che se non sfondi subito allora ti aspetta l’oblio


Finché la società non cambierà il suo atteggiamento negativo verso la vecchiaia, specialmente nei confronti delle donne, ci sarà sempre la paura che se non sfondi subito allora ti aspetta l’oblio. Una volta ottantenni, il mito è che ci dovremmo accontentare di fare a maglia le copertine dei nipoti o di sbavare mentre scoreggiamo senza sosta su una sedia a dondolo – incontinenti, incoerenti, insensibili. Le donne sono ancora eccessivamente giudicate per il loro aspetto: più appariamo giovani, più siamo vendibili. Ci dicono che dovremmo aspettarci un calo di energia quando invecchiamo ma, giuro su Dio, sono io quella che saltella in aula alle nove di mattina per poi venire accolta da ventenni assonnati che riescono a malapena a parlare. E chi sono le persone che vedo trotterellare su è giù per parchi, campi e colline con ancora energie da vendere alla fine delle loro lunghe camminate?

Così come alle donne viene insegnato a vergognarsi della mestruazione e della menopausa, ci viene insegnata la vergogna di invecchiare. È triste vedere trentenni che si preoccupano di essere ormai cosa vecchia. Dovremmo celebrare ogni fase e ogni età della nostra vita. È uno dei miei mantra, un concetto che mi sono martellata nella testa per raddrizzare una vita in cui mi era sempre stato detto altrimenti. Negli ultimi anni ho menzionato così tanto spesso la mia età durante le interviste che questa non detiene più alcun dominio su di me. Ho ammazzato il tabù che avevo dentro a forza di parlarne. Quest’anno compio 63 anni.
 


Il fatto che così tante donne nere stiano schiacciando sull’acceleratore e stiano emergendo a una certa età è un testamento a due cose: la prima è l’impegno lungo una vita dedicato alla creatività e a non mollare; e anche se lo facciamo, ci impegniamo a riprendere da dove avevamo lasciato. Per alcune di noi questo sta facendo propendere a loro favore i segnali esterni del successo di cui parlavo prima. La seconda è una svolta sociale, finalmente ci vedono, ci notano, e il nostro lavoro è apprezzato come mai prima al di là del nostro gruppo demografico.

Ho chiesto a Pollard come si è sentita quando ha saputo che il suo nome era in lizza fra i possibili vincitori. La sua risposta è stata modesta, come suo solito: «La candidatura è per me una sorpresa e un segno di stima, e una conquista per la pratica fotografica tutta, che è stata il mio mezzo d’espressione per molti anni. Dico sempre ai miei studenti che devono venire ad esercitarsi ogni giorno. Le candidature, i premi e le commissioni sono un elemento del lavoro di un artista visivo, ma dopo essere stata nel mondo dell'arte per quarant’anni ho visto questo interesse andare e venire». Penso che sarà diverso però questa volta. Abbiamo fatto progressi reali, anche se non dobbiamo mai adagiarci sugli allori. Ognuna di noi deve prendersi la responsabilità di farsi sentire, per noi e per le generazioni a venire.


 

In copertina: Bernardine Evaristo in una foto del Lancaster Litfest

 

Bernardine Evaristo è una scrittrice britannica. Ha vinto numerosi premi, fra cui il Booker Prize nel 2019 per Ragazza, donna, altro. Questo articolo è stato pubblicato il 28/04/2022 sul Guardian ► ‘They are totally smashing it!’ Bernardine Evaristo on the artistic triumph of older Black women  | Traduzione di Erica Francia


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