Alice Munro, il tempo e la memoria

Dentro il racconto | Sulle complesse costruzioni temporali e sull'indefinibile stile dell'autrice canadese

Alice Munro viene annoverata così spesso fra i migliori scrittori di racconti ancora in vita che, così facendo, si rischia di appiattire la sua opera, oscurandone l’originalità e la stranezza. Nonostante i suoi racconti siano ambientati per lo più nel suo paesino natale, nel sud-ovest dell’Ontario, il loro contenuto non si può di certo definire prosaico (precisiamo poi che, riguardo all’ambientazione, ci sono numerose eccezioni sparse nelle dodici raccolte di racconti nonché nel suo romanzo). Munro rende con precisione chirurgica il tumulto emotivo e psicologico che si nasconde dietro all’atmosfera domestica. Come dice una delle sue narratrici riferendosi alla propria città natale: «Le vite delle persone, a Jubilee come altrove, erano monotone, semplici, sorprendenti e insondabili… caverne profonde dai pavimenti in linoleum». Munro, secondo la descrizione tratteggiata da Coral Ann Howell, è un’artista della vaghezza, caratteristica che sarebbe responsabile della sua incapacità di scrivere romanzi. La scrittrice, in un’intervista rilasciata alla rivista letteraria Paris Review nel 1994, ha spiegato che: «Nella mia vita sono presenti tutte queste realtà sconnesse fra loro e le rivedo nella vita degli altri. Questo era uno dei motivi per cui non riuscivo a scrivere romanzi, non mi è mai piaciuta molto l’idea di continuità». Si tiene anche alla larga dai finali chiusi, infatti su Brick nel 1991 ha scritto: «Voglio che la storia esista in un piano in cui l’azione non si fermi, oppure che si ripeta all’infinito. Non voglio che venga rinchiusa in un libro e poi messa via – “vabbè, è andata così”».
 

Munro ci presenta il tempo come fosse una serie di «strati di tessuto»


In larga parte Munro riesce a raggiungere questo effetto prestando molta attenzione al tempo e alla memoria. C’è un tratto proustiano nel modo in cui ritrae questi due elementi e li fa avviluppare l’uno all’altra, che si ritrova anche nel modo in cui una risonanza inaspettata fa riemergere il passato. Persino nei suoi primi racconti preferisce ricordare il passato che riportare il presente, e col tempo, arrivando fino al racconto Axis del 2011, questa tecnica è cresciuta in ambizione e complessità. Che ci si stia muovendo lungo il corso di un secolo, come accade in A Wilderness Station, o che invece si vada avanti e indietro nel corso di una sola giornata come accade in Raptus, Munro ci presenta il tempo come fosse una serie di «strati di tessuto» piuttosto che una linea, per citare le parole di Lauren Groff. Nel racconto Amica della mia giovinezza la voce narrante scava a fondo nella vita della propria madre dal tempo presente, e l’autrice insiste su come la coppia abbia faticato a trovare un modo per raccontare la storia di una vecchia amica della madre rifiutata dallo stesso uomo due volte. La stessa storia viene raccontata più volte e in modi diversi e questo fa emergere il fulcro principale del racconto, che si rivela essere qualcosa di abbastanza originale, con i suoi molteplici registri, le diverse prospettive e i salti temporali che echeggiano oscuri come voci da un pozzo.
 


Analizzare un racconto di Munro è molto diverso da leggerne uno. Destreggiarsi con schemi temporali complessi e molteplici personaggi senza lasciare in totale confusione il lettore rappresenta già di per sé un’abilità incredibile. Ma riuscire a farlo con la fluidità e la delicatezza di Festa di fine estate, in cui sono presenti diversi punti di vista, o di Vandali,  che invece presenta una narrazione sconnessa, è davvero sbalorditivo. Munro ha un suo stile ma, come quello di Čechov, è trasparente. I suoi racconti fluiscono come conversazioni, o chiacchiere, ma la facilità della narrazione ne cela la sofisticatezza. È solamente di riflesso che si intravede la complessità della costruzione, in cui la chiacchiera viene rivestita da un’interpretazione a sua volta carica di commenti che ne svelano un’altra interpretazione e così via. Ogni racconto è una doppia elica di materiale crudo ed esegesi.
 

Munro ha un suo stile ma, come quello di Čechov, è trasparente


Joyce Carol Oates sostiene che Munro si possa ascrivere alla tradizione letteraria del realismo lirico di Čechov, per James Wood l’autrice evoca «un mondo che funziona come una morbosa cospirazione» in modo simile a V.S. Pritchett mentre secondo il suo vecchio editor del New Yorker, Daniel Menaker, possiede «una furtiva sensibilità postmoderna». Assieme al lirismo, all’osservazione sociale e alla metanarrativa, le sue opere hanno sempre avuto una certa vena gotica, nelle sue stesse parole: «La parte del Paese da cui vengo è assolutamente gotica». Presenta affinità con autori degli Stati Uniti del sud come Flannery O’Connor, Carson McCullers, Katherine Ann Porter e Eudora Welty, e l’influenza di quest’ultima è la più palese. Danza delle ombre felici di Munro traccia molti parallelismi con Il saggio di giugno di Welty, infatti entrambe le scrittrici sono affascinate dalla doppiezza del mondo: da una parte la realtà come viene normalmente percepita, e dall’altra le stranezze che si nascondono sotto la superficie. Di solito Munro usa i bambini per raccontare queste stranezze, o più precisamente usa i ricordi d’infanzia di un personaggio ormai adulto, come avviene ne Il cowboy della Walker Brothers, in cui l’incontro del padre con una vecchia fiamma viene rielaborato dagli occhi della figlia, di seguito riportato nella traduzione di Susanna Basso (Danza delle ombre felici, Einaudi, 2013):

 

«E così mio padre guida e mio fratello guarda la strada in cerca di conigli e io ho la sensazione che la vita di mio padre si sganci dall’auto e fluttui all’indietro nel tardo pomeriggio, sempre più scuro e strano, come un paesaggio sotto un incantesimo che lo rende dolce e rassicurante mentre lo guardi, ma per sempre sconosciuto appena gli volti le spalle, un luogo esposto a tutti i tipi di intemperie e a distanze inimmaginabili».



È indicativo dell’ampiezza dell’opera di Munro il fatto che la varietà di stili e influenze sia così grande da portare i critici a identificare elementi sempre diversi con il cuore della sua narrativa. Per alcuni è l’azione della memoria, come in Amica della mia giovinezza, per altri è la vita oppressa e costretta di donne e ragazze, come Flo e Rose in Chi ti credi di essere?, per altri ancora è l’immagine della madre che torna ossessivamente in tutte le sue opere. Nel 2002 Lorrie Moore scrisse che «la morte e la nascita dell’amore erotico» erano «il soggetto preferito di Munro» e racconti come Fatalità, Lichene, Cigni selvatici e Diversamente sono testimonianza della percezione di quello che in Vandali chiama la «spietata tensione del sesso». Tutte queste posizioni possono essere argomentate ma, in realtà, nessuna domina sulle altre. La sua opera resiste alla tentazione di essere ridotta a un’unica linea interpretativa, per quanto seducente possa essere. L’arte di Munro si espande così tanto che può prestare il volto a ogni lettore, e ognuno vi troverà qualcosa di nuovo.


 

Chris Power è un critico letterario e scrittore inglese, autore della raccolta di racconti Mothers (2018) e del romanzo A Lonely Man (2021). Dal 2007 tiene sul Guardian la rubrica monografica dal titolo A brief survey of the short story, di cui questo articolo pubblicato il 11/11/2011 fa parte ► A brief survey of the short story part 37: Alice Munro | Traduzione di Erica Francia. In copertina foto di Chad Hipolito, Pa Photos, NTB scanpix.

 

 

 


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