Piatta come una tavola

Vivere con lo stigma del seno piccolo

Sono piatta. Ricordate quando le misure ideali per una donna erano 90-60-90? Be’, mi rivedo molto nella battuta di un comico: «è una 90, ma di fianchi, non di seno!». Molti mi dicono che sembro una modella: sono alta per una donna, un metro e settantadue, e peso meno di sessanta chili, ma per fare la modella dovrei pesare molto meno. E con la mia corporatura non posso certo dire di avere una figura slanciata. Quando non hai seno, la vita e i fianchi sembrano più grandi di quanto non siano in realtà, l’ho capito appena sono diventata adolescente.
 

Seconda media, 1959. Sono nello spogliatoio, mi cambio per la lezione di ginnastica, devo mettere una tutina blu navy intera senza maniche con pantaloni al ginocchio, un indumento che non dona a nessuno, tanto meno a me, magrolina come sono. Mi guardo intorno furtivamente e mi mortifica vedere che le altre ragazze indossano tutte il reggiseno, nonostante il poco che hanno per riempirlo. A malincuore mi tolgo la camicetta e rimango con una canottiera di cotone bianca, ma mi sento nuda. Sono l’unica ad essere così piatta da indossare ancora biancheria da bambina. E dopotutto mi si addice, perché mi sento come una bambina, sperduta in un mondo in cui i miei coetanei di entrambi i sessi iniziano a guardarsi in modo diverso, un modo a cui non sono ancora preparata.


Avrei potuto risparmiarmi quell’esperienza imbarazzante. Mia madre si era offerta di comprarmi un reggiseno quando andammo a comprare i vestiti per la scuola quell’anno, ma io rifiutai. Le dissi che non ne avevo bisogno, il che era vero. Ma in realtà non volevo che lei e qualche commessa sconosciuta guardassero il mio seno piatto. In quello stesso anno, il petto cominciò a crescermi, e pensavo che sarebbe cresciuto fino a raggiungere una taglia decente, ma non è mai successo. Ci sono tredicenni che hanno il seno più grande del mio.
Immagino che molte donne nella mia situazione prenderebbero in considerazione l’idea di ricorrere alla chirurgia estetica. Ho letto su una rivista che il numero di interventi di mastoplastica additiva negli Stati Uniti è aumentato del 64 percento tra il 2000 e il 2008. Ma l’idea di inserire dentro di me un corpo estraneo mi dà i brividi e, soprattutto, aumentare il volume dei miei seni implicherebbe che c’è qualcosa di sbagliato in quelli piccoli. E non è affatto così. Voglio dire, a cosa serve il seno? In senso stretto, per allattare i bambini, cosa che ho fatto.
Inoltre, il seno serve per fare l’amore. Le donne si eccitano facendosi accarezzare e baciare il seno. E indovinate un po’? Il mio ha svolto benissimo questo compito. Ho avuto la mia prima esperienza sessuale a ventun anni e non mi sono sposata fino a quasi quaranta. Nel frattempo, ho avuto vari amanti, e nessuno di loro si è lamentato che non fossi reattiva agli stimoli in quella parte del corpo. D’altra parte, chissà quanti uomini non si sono mai spinti oltre con me, perché secondo loro per essere sexy una donna deve avere un seno grande.
 

Cocktail bar di un ristorante di lusso a Evansville, Indiana, 1974. Sono con la mia amica Linda nel nostro ritrovo preferito. È intimo, con pochi tavoli, e il barista è nostro amico. Linda e io facciamo parte di un gruppo di teatro amatoriale dove io recito e lei si occupa degli oggetti di scena.

Linda ha il corpo di una Barbie, grandi occhi azzurri, ciglia lunghe, labbra ad arco di Cupido e una chioma ondulata che scende a cascata sulle spalle. Io invece a ventisette anni ho il petto piatto come a tredici, i capelli unti e fini diventano degli spaghetti se li faccio crescere. Infatti porto il mio solito carré corto. Il mio viso non è né bello né brutto, solo ordinario.

Io e Linda ci stiamo divertendo, ridiamo e scherziamo con Bill il barista, che recita con me. Ecco che un ragazzo seduto al bar ci interrompe. «Di quale spettacolo state parlando?», chiede.

È molto bello, ha capelli castani ondulati e porta le basette abbastanza lunghe da essere alla moda. «Recitiamo in uno spettacolo teatrale a Newburgh», gli rispondo.

«Voi recitate», precisa Linda. «Io mi occupo degli oggetti di scena».

«Oggetti di scena, eh. Quali utilizzi di solito?». I suoi occhi scuri sono puntati su Linda. Noto il suo elegante abito grigio. Non ha la fede al dito, ma non significa nulla. Ce n’è una su quello di Linda.

«Be’, varie cose: dei libri, un telefono, delle lampade...». Linda ha vissuto qualche anno in Texas e le è rimasto un leggero accento del sud che esalta il suo sex appeal. La osservo mentre lo guarda da sotto le palpebre.

Mi giro verso Bill e alzo le spalle. Chiaramente, sono stata esclusa dalla conversazione. Il ragazzo ha fatto la sua scelta e io sono diventata invisibile.


La sensazione era fin troppo familiare. Ero una donna col seno piatto e i capelli corti, automaticamente relegata, nella migliore delle ipotesi, allo status di “amica”. Era difficile essere giovane e single e sentire che non avrei mai potuto essere considerata sexy, solo perché una parte del mio corpo non era all’altezza di un ideale. Le sociologhe Barbara Fredrickson e Tomi-Ann Roberts hanno coniato il termine “auto-oggettificazione” per descrivere il fatto che le ragazze e le donne guardano abitualmente se stesse attraverso gli occhi degli altri. La loro teoria è stata formulata solo nel 1997, ma si adatta senza dubbio a molte delle mie esperienze di vita, alcune delle quali sono avvenute prima che il femminismo mi aiutasse a esprimere il mio disagio.
 

Università del Missouri, 1967. È la Settimana delle confraternite, e una di queste sta organizzando un concorso per il fisico più bello all’interno delle confraternite femminili. Le ragazze portano pantaloncini e top aderenti; indossano anche dei sacchetti di carta sulla testa per non essere giudicate in base alla bellezza del volto.

La nostra concorrente è la mia amica Suzanne, che ha un seno grande, una vita minuscola e fianchi sottili. La guardo schierata con le altre concorrenti, i tacchi accentuano le sue gambe formose, le mani posate sui fianchi, una gamba inclinata di 90 gradi rispetto all’altra.

Vedere lei e tutte le altre ragazze senza volto mi fa venire la nausea, tutti ridono e dicono che è solo un gioco, e che ovviamente non giudicano le ragazze in base al loro corpo, ma mi infastidisce lo stesso.


All’epoca non collegai le due cose, ma se adesso ripenso a quella scena, mi torna in mente un altro episodio che riguarda Suzanne. Io e lei eravamo compagne di stanza, e una sera lei rincasò infuriata dopo un appuntamento.
 

«Questi uomini!», gettò la borsa sul letto. «Solo perché ho un bel fisico pensano che sia una facile».

«Cos’è successo?», chiesi.

Suzanne si mise le mani sui fianchi e disse: «Ho appena passato la serata a combattere contro un... un... polpo! Era il nostro primo appuntamento. Come poteva pensare di fare i suoi comodi?».

Era vestita in modo sobrio, indossava un paio di pantaloni di lana e un maglione a collo alto, ma nonostante l’abbigliamento, la dimensione del suo seno non passava inosservata. Ero al tempo stesso gelosa del suo sex appeal e sollevata di non dover affrontare i problemi che ne derivavano. Cosa si prova a domandarsi se un ragazzo ti ha chiesto di uscire solo per il tuo aspetto?

«Probabilmente hai ragione», le dissi. «Dev’essere perché hai un bel fisico. Non ho mai avuto problemi del genere».


Questo era il rovescio della medaglia: non essere considerata sexy voleva dire anche non essere vista come proprietà di un uomo, che poteva perciò fare di te quello che voleva. Ma il punto era essere notate. Suzanne e io siamo cresciute in un mondo in cui era l’uomo che guardava, giudicava e agiva di conseguenza.
Il fatto che Fredrickson e Roberts abbiano formulato la loro teoria più di venticinque anni dopo l’esplosione del femminismo della seconda ondata dimostra che, in qualche modo, nulla è cambiato. Noi donne siamo bombardate da immagini, sia nella pubblicità che nel mondo dello spettacolo, in cui vengono mostrati dei corpi irrealisticamente perfetti, e poi ci viene da pensare alle persone che ci guardano e fanno paragoni. Non c’è da stupirsi se ci vediamo inadeguate e sentiamo la necessità di lavorare sul nostro aspetto.
 

Non essere considerata sexy voleva dire anche non essere vista come proprietà di un uomo. Suzanne e io siamo cresciute in un mondo in cui era l’uomo che guardava, giudicava e agiva di conseguenza


Niente ci fa sentire più inadeguate della dimensione del seno, che è sempre in bella mostra. Le donne in tv sono tutte in décolleté, indipendentemente dalla professione. Poliziotte in servizio, investigatrici sulla scena del crimine, avvocati, medici, persino insegnanti, arrivano tutte a lavoro con abiti (o camicette) scollate. Date un’occhiata a qualsiasi rivista con una celebrità femminile in copertina ed è probabile che sia vestita con qualcosa che lascia scoperta una parte del suo seno. Poi andate in un negozio e provate a comprare una camicetta che abbia abbastanza bottoni o un maglione a girocollo. Dico sempre ai commessi in modo educato: «Non posso mostrare la scollatura, non ho niente da mostrare». Anche se gli abiti sono diventati più audaci di un tempo, l’idea che le modelle e le attrici siano fonte di eccitazione sessuale non è cambiata affatto.
 

Redazione della Evansville Press, 1977. Guardo Norm che strappa la copia dalla telescrivente della Associated Press. Porta le pagine alla scrivania e si siede, legge rapidamente i messaggi e li suddivide per categorie. Poi arriva a una foto e si ferma. La mostra all’altro gruppo di lavoro, sono tutti uomini. «Non male, eh», dice con un ampio sorriso.

È la foto di una donna in costume da bagno. Questo genere di foto arriva spesso tramite la telescrivente, con una didascalia tipo “Jane Smith si diverte a fare surf a Miami Beach”. Le usavamo nel giornale come riempitivo, fino a quando non arrivò l’ordine dall’alto: niente foto di pin-up. Gli uomini si lamentavano a denti stretti per questa concessione al nascente movimento femminista. Norm, che conosceva bene le mie idee femministe e si divertiva a punzecchiarmi, prendeva queste foto, le riponeva in una cartella nel suo cassetto e le guardava quando le cose andavano a rilento sul lavoro. Anche se le foto non si potevano più pubblicare sul giornale, continuavano ad arrivare.

Quel giorno c’erano altre cose interessanti di cui parlare. Un nuovo programma, Tre cuori in affitto, aveva fatto il suo debutto in tv, ed era stato subito etichettato come “jiggle show” – show televisivi in cui le protagoniste femminili non indossano il reggiseno –, proprio perché la sua formosa star, Suzanne Somers, lasciava che i suoi seni oscillassero liberi. Era iniziata l’epoca senza reggiseno e anche io avevo smesso di indossarlo, non che facesse molta differenza nel mio caso.

«Assomiglia un po’ a Suzanne come-si-chiama, l’attrice televisiva», dice Norm, riferendosi alla foto della telescrivente.

«Cavolo, hai visto Tre cuori in affitto ieri sera?», interviene Bill dalla scrivania accanto alla mia. «Riesci a immaginare di vivere con lei... in modo platonico?».

Bill e Norm ridono, e anche gli altri uomini. Come i bambini delle elementari, mi prendono in giro perché gli piaccio. È anche un modo per mettermi alla prova, perché in una redazione ci si aspetta che tutti siano pronti a criticare ma anche ad accettare le critiche. Ma questo non è il momento di affermare il mio femminismo. Aspetto un attimo che le risate si spengano. «Di che programma state parlando?» chiedo con fare ingenuo.


Chi insegna ai ragazzi che solo le donne con il seno grande sono sexy? O che le donne con il seno grande vanno a letto con più uomini? Chi insegna loro che il corpo delle donne può essere giudicato, mentre il loro è irrilevante? Ho visto uomini sulla via della calvizie, senza muscoli e con la pancia da birra fare commenti denigratori sulle donne perché non avevano un fisico perfetto. Non riescono a cogliere l’ironia della cosa?
 

Chi insegna ai ragazzi che solo le donne con il seno grande sono sexy? Chi insegna loro che il corpo delle donne può essere giudicato, mentre il loro è irrilevante?


Ormai ho superato l’età della pensione, sono sposata da tempo e la mia taglia di seno non mi sembra più una cosa importante. È stato un cambiamento graduale; in parte è stato grazie alla fiducia che acquisti quando l’uomo che ami ti assicura che il tuo corpo è più che adeguato, e in parte è stato l’effetto dell’invecchiamento, quando il sesso smette di essere una priorità. Ho sentito donne mature dirsi deluse di non riuscire più ad attirare l’attenzione maschile, non ricevono più fischi per strada, ad esempio, a me invece quel poco di attenzione che ho mai attirato, non manca affatto. È un sollievo non sentirsi guardata e giudicata. Essere invisibile agli uomini adesso sembra una benedizione. E mentre le altre donne si lamentano del seno floscio, io sorrido. Quando non hai niente, niente si può afflosciare.

 

Questo articolo è stato pubblicato su The Summerset Review | Estate 2019  Flat Top
Traduzione di Serena Mannucci


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