Settembre in Europa - Eureka

Tre discorsi nella storia d'Europa, mentre le elezioni tedesche lasciano perplessi

«I boss dell'Unione Europea sono cattive persone. Trattano i Paesi come facevano i comunisti». Nigel Farage commenta in un tweet il discorso pronunciato da Emmanuel Macron alla Sorbona, a Parigi.

 

FOCUS EUROPA Tre discorsi sull'Unione Europea

Da tempo ormai si sprecano discorsi sul futuro dell’Unione Europea. Ma a settembre si sono tenuti tre discorsi sul futuro dell’Europa, e uno più degli altri è capace di segnarne la storia. In fondo, l’Unione Europea è il frutto di un grande discorso, un’Unione Europea che «non sarà fatta tutta in una volta, né secondo un unico disegno».

Bruxelles, 13 settembre. Jean-Claude Juncker si rivolge al Parlamento Europeo per il suo tradizionale State of the Union. «Il vento è tornato a soffiare nelle vele dell’Europa», esordisce. Perché appena un anno fa, in quella stessa sede, aveva invece messo in guardia dalla «crisi esistenziale» che l’Unione stava attraversando, alle prese con problemi irrisolti, «dall’elevata disoccupazione, all’eguaglianza sociale». Un anno dopo, sono arrivati i primi veri segnali di ripresa «che ha toccato ogni singolo Paese membro». Per questo, afferma Juncker, è il momento di passare «dalla riflessione all’azione, dal dibattito alla decisione», dopo la consultazione iniziata lo scorso marzo con il White Paper on the Future of Europe della Commissione Europea. Nello spirito dei Trattati, e entro la scadenza del mandato della Commissione, le proposte sono tante. C’è il mercato unico tra le priorità, insieme ad un meccanismo di verifica dei take-over stranieri. Ci sono le risposte ai problemi sociali: libertà, uguaglianza, e non discriminazione, con la convinzione che «rule of law non è un’opzione nell’Unione Europea, bensì un imperativo». La migrazione è ancora un problema aperto, ma l’Italia «sta salvando l’onore dell’Europa nel Mediterraneo», mentre la Guardia costiera europea è un primo e malcerto passo per la stabilizzazione dei flussi. Il richiamo è poi alla maggior cooperazione in fatto di servizi segreti e lotta al terrorismo. Per rispondere al deficit democratico, l’obiettivo è mantenere lo Spitzenkandidaten, ma meglio con l’unificazione dei ruoli di Presidente della Commissione e del Consiglio – non gliene voglia il suo «buon amico Donald», aggiunge Juncker. Dice di nutrire anche simpatie per le liste transnazionali al Parlamento Europeo. Immancabili, l’economia e la finanza: dal completamento dell’unione bancaria per prevenire dissesti sistemici, alla proposta lungimirante di un ministro europeo delle finanze responsabile dinanzi al Parlamento, insieme alla trasformazione dell’ESM in un European Monetary Fund. Ma per gli interventi istituzionali, Juncker plaude all’intergovernamentalismo: «nuovi trattati e nuove istituzioni non sono quello che le persone vogliono». Eppure, alla fine dei conti, è proprio questo che serve all’Unione Europea per approfittare di quella «finestra di opportunità che non durerà per sempre».

Nella buona e nella cattiva sorte, non ho mai smesso di amare l'Europa. - Jean-Claude Juncker, The State of the Union, 2017

Parigi, 26 settembre. Emmanuel Macron parla alla Sorbona, sotto una cupola affrescata, e si rivolge ad una platea di studenti internazionali. Parla dell’Europa, «e non smetterò mai di parlarne», perché si tratta della storia, dell’identità, delle prospettive di un popolo. Un’Europa fondata sul sapere, con «le idee migliori che ci fanno progredire», e che sarà esattamente come le persone la immaginano. Un’Europa in cui è necessario fermare il nazionalismo che «sfrutta cinicamente le paure della gente», e per farlo è necessario «ricostruire un’Europa sovrana, unita, e democratica». Le proposte del presidente francese, da realizzarsi nel medio termine, cominciano con la necessità di investire in sicurezza, fino a dotare l’Unione Europea di «autonome capacità operative», un’idea attorno alla quale far convergere gli altri membri. Così come un’autorità che sappia contrastare a livello sovranazionale la criminalità organizzata e il terrorismo. L’istruzione ha un ruolo fondamentale, anche nell’ottica dello sviluppo economico; per questo, la proposta è di avere università il più possibile internazionali, e di avere una lingua comune che sappia far comunicare i cittadini dell’Europa. E poi l’economia: con una maggiore armonizzazione delle imposte, e la creazione di un digital single market dinamico. Ma soprattutto, un «ministro delle finanze responsabile dinanzi al Parlamento» che disponga di un budget comune, da istituirsi sulla base di un impegno formale alla responsabilità degli stati membri. Sul fronte istituzionale, Macron si esprime quasi all’unisono con Juncker, sostenendo il modello dello Spitzenkandidaten e la possibilità di avere liste transnazionali al Parlamento Europeo, ma oltre a questo ritiene necessaria la riduzione dei membri della Commissione. Macron sottolinea che l’impegno dei governi deve essere un impegno per il lungo periodo, per le nuove generazioni, e per un nuovo modello di Europa. E si richiama al senso di responsabilità, dicendo di aver fatto la propria scelta. Pone la Francia alla guida della rinascita Europea, come fece Robert Schuman. Inequivocabilmente apre alla riforma dei trattati, a cominciare da un trattato di cooperazione per il prossimo gennaio, con l’appoggio dei maggiori leader europei. Perché l’Europa, per essere «equa, proattiva, e ambiziosa» ha bisogno di una riforma radicale.

Dobbiamo riscoprire l'ambizione che ci permise di voltare le spalle alla guerra. - Emmanuel Macron, Initiative pour l'Europe

Firenze, 22 settembre. Nella culla del Rinascimento, Theresa May pronuncia il suo tanto atteso discorso sulla Brexit davanti ad un banale pannello bianco - e sorge il dubbio sul perché andare sino a Firenze, quando i pannelli bianchi si trovano anche in Inghilterra. Davanti a sé ha una platea di una cinquantina di invitati. «Riuniti con l’ambizione e mossi dallo spirito di innovare, si possono fare grandi cose», annuncia. Ma queste grandi cose non compaiono mai nel suo discorso. Per certo, c’è che il modello norvegese e quello canadese non si addicono al Regno Unito per la sua futura relazione con l’Unione Europea. Parimenti, il riconoscimento del ruolo essenziale del mercato unico, per cui la May riconosce che «non si può essere membri del mercato unico senza gli obblighi che ne conseguono». Celebra il ruolo degli immigrati, nel Regno Unito, e li invita a restare, «we want you to stay». Tuttavia, ancora una volta come prima di lei Margaret Thatcher e David Cameron, rimarca che a causa della «storia e della geografia», l’UE non è mai stata parte integrante della storia del Regno Unito. Ma assicura: «stiamo lasciando l’Unione Europea, ma non l’Europa». Per questo, sembra supplicare Bruxelles di concedere un periodo di transizione di due anni, una volta che avverrà Brexit, per garantire certezza agli operatori economici. Invoca una «soluzione creativa», ma non ne propone. Eppure era quello che tutti si aspettavano.

Un futuro più certo, più equo, più prospero per tutti: questo è il premio se troviamo la strada giusta nelle negoziazioni. - Theresa May, Florence Speech

Leonardo Zanobetti

 

FOCUS GERMANIA Una Germania sempre più europea?

La Germania ha votato e lo ha fatto molto diversamente dal passato. Si può parlare di vero e proprio terremoto politico? Dibattibile. Il sistema ha infatti retto all’onda d’urto: Angela Merkel, con ottime probabilità, rimarrà al suo posto. Ma mai prima d’ora i due storici partiti dominanti nella politica tedesca hanno raccolto così pochi consensi. E mai prima di una settimana fa così tanti estremisti – e di destra, e di sinistra – hanno occupato così tanto spazio sotto la cupola del Reichstag di Berlino. Sia l’Union della cancelliera che i socialdemocratici (SPD) del sedicente quanto fallimentare astro nascente Martin Schulz hanno perso milioni di voti. In favore di chi? Principalmente dell’estrema destra di Alternative für Deutschland che, soprattutto ad Est, ha raggiunto a pieno titolo il ruolo di grande partito di raccolta.

Molte analisi di autorevoli testate giornalistiche hanno legato a filo doppio il successo dell’estrema destra ai tanti critici della politica delle porte aperte attuata dal governo da due anni a questa parte. Ma si tratta di un’eccessiva semplificazione della faccenda. L’AfD vince principalmente dove la quantità di rifugiati, ed in generale di immigrati, è minima, mentre convince meno nelle grandi città cosmopolite. Un esempio? Nella piccola Turingia, dove la percentuale di immigrati è al 4,2%, l’estrema destra raggiunge quasi un quarto dei consensi; nella cosmopolita Francoforte, dove al contrario più della metà dei cittadini ha origini straniere, l’AfD si ferma ad un ben meno lusinghiero 8%. È quindi credibile che molti abbiano votato l’estrema destra per mandare un forte segnale di rifiuto a Berlino sulla politica migratoria; ma è altrettanto vero che molti di questi elettori non hanno mai vissuto sulla loro pelle le difficoltà che l’accoglienza e l’integrazione portano generalmente nella vita quotidiana. Soprattutto nell’Est, poi, l’AfD ha sottratto voti alla sinistra post-comunista ed un po’ nostalgica della Linke. Essa ha infatti tenuto a livello nazionale, ma vincendo molti voti dei ceti più popolari delle grandi città occidentali. Nelle sue roccaforti al di là del muro, invece, non ha saputo convincere come in passato, lasciando le questioni dell’ingiustizia sociale e della povertà all’estrema destra che qui – come ovunque in Europa – ha mischiato il tutto a xenofobia ed una certa dose di razzismo per accrescere i propri consensi.

Il successo dell’AfD da un lato e la tenuta della Linke dall’altro hanno quindi reso l’educata e stabile Germania un po’ più precaria, uniformandola così alla maggioranza degli stati europei. Berlino era infatti rimasta l’ultimo baluardo della lotta ai populisti che questa volta, però, sono riusciti a sfondare anche qui. I numeri parlano chiaro: siamo lontani dai successi del Front National francese o del Podemos spagnolo, ma per l’equilibrio politico-istituzionale di cui la Germania ha sempre disposto questo risultato è quantomeno destabilizzante. La cancelliera si troverà, per la prima volta dalla Repubblica di Weimar, a dover formare un governo con più di due forze politiche. E la situazione è, per questo motivo, alquanto complicata. Matematicamente le coalizioni praticabili sarebbero in realtà due: la sempreverde grande coalizione o la cosiddetta Jamaica, composta dai cristiano-democratici della signora Merkel con liberali e verdi. Avendo però l’SPD subito la più pesante batosta della propria storia, essa ha subito escluso una qualsiasi partecipazione al futuro governo del paese, mettendo quindi fuori gioco la Große Koalition, preferita sia dalla cancelliera che dall’Europa tutta – in quanto garanzia di stabilità ed europeismo. Liberali e verdi hanno infatti opinioni molto diverse su tanti temi – dalla politica energetica a quella fiscale, dall’approccio all’immigrazione a quello con l’Europa – e forse solo una maestra del compromesso come la Merkel potrà riuscire a trovare una quadra. Ma sicuramente per il paese, ed ancor più per il continente, si apre un periodo più incerto di prima, dove la locomotiva d’Europa avrà più difficoltà che in passato a trainare i tanti vicini, sia economicamente che politicamente: la situazione interna sarà più traballante che mai e quindi anche i grandi progetti su una maggiore collaborazione continentale potrebbero uscirne ridimensionati per via di una serie di veti incrociati tutti made in Germany. Insomma, la Germania è entrata a pieno titolo nel marasma politico europeo.

  Giulio Tommasini

 

CALENDARIO In Europa, a settembre

6 settembre ► L'Ungheria e la Slovacchia non possono esimersi dall'accettare i rifugiati ricollocati. Lo ha stabilito la Corte Europea di Giustizia, respingendo il ricorso dei due Paesi.
8 settembre ► Il Presidente francese, Emmanuel Macron, ha invitato i leader europei a sostenere la Grecia, per evitare che si rivolga a investitori estranei all'Unione Europea.
14 settembre ► Il Parlamento Europeo ha approvato il discusso Accessibility Act, che mira a rendere più accessibili i servizi pubblici, tra cui il trasporto locale.
14 settembre ► Il Consiglio ha scelto di rafforzare le sanzioni imposte nei confronti della Corea del Nord.
15 settembre ► Il Primo Vicepresidente della Commissione Europea, Frans Timmermans, annuncia la revisione dei criteri di attribuzione dei fondi ai gruppi dell'Europarlamento.
18 settembre ► La Commissaria europea ai trasporti, Violeta Bulc, ha ribadito che Ryanair, la compagnia aerea irlandese al centro di numerose cancellazioni di voli, dovrà attenersi ai regolamenti UE per il rimborso dei passeggeri rimasti a terra.
27 settembre ► La società francese Alstom ha annunciato la fusione con la tedesca Siemens, capace di dare vita a un nuovo colosso dell'industria ferroviaria mondiale.
27 settembre ► Dopo la vicenda della tentata nazionalizzazione dei cantieri navali Stx da parte del governo francese, l'italiana Fincantieri ottiene la maggioranza della società per 12 anni.
28 settembre ► La cancelliera tedesca Angela Merkel dichiara di sostenere le idee di riforma dell'Unione Europea proposte dal presidente francese, Emmanuel Macron.

 

SPUNTI per l'Europa
Foreign Affairs Europe's Hamilton Moment
Bloomberg Britain Is Shamed and Brussels Triumphant. But Is That Good for Europe?
Il Sole 24 Ore Se Macron non rilancia ma divide l'Europa


Parte della serie Eureka, la rassegna europea

Commenta