Oscar: il trionfo di Cuarón e Sorrentino

I vincitori e la grande bellezza dell'Oscar che torna in italia

«And the Oscar goes to… The Great Beauty». EFA, BAFTA, Golden Globe e Oscar per Paolo Sorrentino, il primo regista italiano dai tempi di Benigni e de La vita è bella a portare a casa la statuetta. Sono passati quindici anni. Otto dall’ultima nomination con La bestia nel cuore. A ritirare il premio salgono anche Toni Servillo e Nicola Giuliano, i volti in primo piano e dietro le quinte de La grande bellezza. E così il quartetto di vittorie internazionali è completo, e poco importa che l’inquietante ambiguità de Il sospetto meritasse di più. D’altronde, anche Dallas Buyers Club, Her e The Wolf of Wall Street meritavano più di 12 anni schiavo di Steve McQueen, che vince l’Oscar con il suo film meno bello giocando facile sul fantasma della schiavitù di cui gli Stati Uniti non si sono ancora liberati – vedi Lincoln lo scorso anno –, in un’edizione tutto sommato povera di grandi film. Gravity di Cuarón fa invece legittima incetta di premi tecnici, trionfatore assoluto della serata con 7 Oscar, e meno legittimamente del premio alla regia su cui Payne e Scorsese avevano qualcosa da dire.

Il chiacchierato Woody Allen continua a scrivere personaggi strepitosi e Cate Blanchett lo ringrazia mentre riceve il premio per la miglior attrice protagonista, sacrosanto quanto quello alla miglior sceneggiatura al riconosciuto genio di Spike Jonze. Un gioiellino il suo Her (dove Joaquin Phoenix avrebbe meritato maggiore considerazione), di raffinata veste fotografica curata da Hoyte van Hoytema, direttore della fotografia di The Fighter, La talpa e del prossimo Interstellar di Nolan snobbato dall’Academy che premia il colosso Emmanuel Lubezki, trascurato anch’egli per le meraviglie di The Tree of Life e To the Wonder e vincitore con Gravity di Cuarón, cosa che, a qualche anno di distanza dall’Oscar a Mauro Fiore per Avatar, riporta in auge la riflessione sulla necessità di una distinzione tra fotografia classica e fotografia digitale.
La sfilata sul palco continua con una lunga serie di volti noti – Jim Carrey che presentando una clip dice: «Il Cinema di Hollywood sogna da sempre grazie all’LSD. Ah, no, scusate, volevo dire all’animazione» – e cariatidi più o meno benvolute. Toccante Murray che esulta all’ingresso di Sidney Poitier, un po’ meno Kim Novak che con Hitchcock avrà anche vissuto due volte ma alla terza gli è andata male. Lo show di Ellen DeGeneres è uno dei più fiacchi degli ultimi tempi, con battute scialbe e il suo continuo fotografarsi in diretta e twittare, ma a risollevare la serata ci pensa il photobomber Kevin Spacey.

Tradite le speranze dei contendenti di The Wolf of Wall Street, che con una severità forse eccessiva viene escluso del tutto dai premi. Il pur bravo Jonah Hill cede il passo a Jared Leto, una grande interpretazione in Dallas Buyers Club, che sale sul palco emozionato come un commercialista di fronte alla dichiarazione dei redditi e dedica un pensiero ad i paesi in difficoltà politica, che ha parole diverse ma suona più o meno così: “Ucraina, Venezuela, questa statuetta vale quanto il vostro PIL, ma noi pensiamo a voi”. A sentire di più l’emozione è DiCaprio, che stavolta spera davvero nel premio più ambito e che si vede battere ancora da uno strepitoso – e probabilmente in quest’occasione più meritevole – Matthew McConaughey, che abbraccia Leo e da folle quale è nel discorso di accettazione ringrazia Dio, la sua famiglia, e il suo modello, lui fra dieci anni: «A quindici anni mi hanno chiesto: “Chi è il tuo eroe?”. “Sai cosa, ci ho pensato su, sono io fra dieci anni”. Così ho compiuto venticinque anni, dieci anni dopo. La stessa persona viene da me e mi dice: “Allora, sei un eroe?”. E io, “Neanche lontanamente! Il mio eroe sono io a trentacinque anni”. Ogni giorno, ogni settimana, ogni mese e ogni anno nella mia vita, il mio eroe è sempre lontano dieci anni. Non sarò mai il mio eroe. Non otterrò mai una cosa del genere. Ma mi va benissimo perché mi fa avere qualcuno da continuare a rincorrere». Cosa volesse dire esattamente, l’ha capito solo lui.

L’eroe di Sorrentino invece, colpo di scena, non è se stesso: «Grazie alle mie fonti di ispirazione. Federico Fellini, Talking Heads, Martin Scorsese e Diego Armando Maradona» che, dirà poi in conferenza stampa, gli hanno fatto capire l’importanza del senso dello spettacolo. I promotori della rinascita dell’Italia attraverso l’Oscar – ad un film che parla della sua infinita decadenza – si moltiplicheranno insieme ai detrattori, adesso che La grande bellezza ha portato a casa la statuetta dorata, anche se rimane la speranza che qualcuno riesca soltanto a godersi lo strepitoso successo internazionale di un bel film italiano, senza troppe critiche. E di tutte le critiche la vera grande bellezza è Servillo, sul palco del Dolby Theatre, mano in tasca e sorriso alla “ma vaffanculo sta stronza di Rai News”.

 

 

I vincitori del Premio Oscar 2014

Miglior film
: 12 anni schiavo di Steve McQueen
Miglior regista: Alfonso Cuarón per Gravity
Miglior attore protagonista: Matthew McConaughey per Dallas Buyers Club
Migliore attore non protagonista: Jared Leto per Dallas Buyers Club
Migliore attrice protagonista: Cate Blanchett per Blue Jasmine
Migliore attrice non protagonista: Lupita Nyong’o per 12 anni schiavo
Miglior fotografia: Emmanuel Lubetzki (Gravity)
Migliore sceneggiatura originale: Spike Jonze per Her
Migliore sceneggiatura non originale: John Ridley (12 anni schiavo)
Miglior film straniero: La grande bellezza (Italia)
Miglior film d’animazione: Frozen di Chris Buck, Jennifer Lee and Peter Del Vecho
Migliori effetti speciali: Tim Webber, Chris Lawrence, David Shirk e Neil Corbould (Gravity)
Migliori costumi: Catherine Martin (Il grande Gatsby)
Miglior scenografia: Catherine Martin e Beverly Dunn (Il grande Gatsby)
Miglior montaggio: Alfonso Cuarón (Gravity)
Miglior sonoro: Skip Lievsay, Niv Adiri, Christopher Benstead e Chris Munro (Gravity)
Miglior montaggio sonoro: Glenn Freemantle (Gravity)
Migliori trucco e acconciatura: Adruitha Lee e Robin Matthews (Dallas Buyers Club)
Migliore colonna sonora: Steven Price (Gravity)
Miglior canzone originale: Let it Go  di Kristen Anderson-Lopez e Robert Lopez (Frozen)
Miglior cortometraggio: Helium di Anders Walter e Kim Magnusson
Miglior cortometraggio animato: Mr. Hublot di Laurent Witz e Alexandre Espigares
Migliore documentario: 20 feet from Stardom di Morgan Neville, Gil Friesen e Caitrin Rogers
Migliore cortometraggio documentario: The Lady in Number 6: Music Saved My Life di Malcolm Clarke e Nicholas Reed


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