Marzo in Europa - Eureka
Sconfitto (quasi) Geert Wilders, l'UE compie 60 anni e guarda al futuro
«Regno Unito, ci manchi già». Donald Tusk, presidente del Consiglio Europeo, rivolgendosi con un discorso alla stampa pochi minuti dopo aver ricevuto la comunicazione ufficiale dell'avvio delle procedure per la Brexit da parte dell'ambasciatore britannico.
FOCUS EUROPA Dichiarazione d'amore
Si dice che l’unione faccia la forza, ma se l’unione in questione è quella Europea fa più che altro compromessi al ribasso. Non si può definire meglio il documento di poco più di una pagina che costituisce la Dichiarazione di Roma firmata il 25 Marzo da tutti i 27 Capi di Stato Europei insieme al Presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, del Consiglio Europeo, Donald Tusk, e del Parlamento Europeo, Antonio Tajani. A 60 anni dalla nascita della Comunità Economica Europea, molte sono state le celebrazioni nella capitale. Incontri, convegni, dibattiti e appunto una dichiarazione congiunta di tutte le principali cariche politiche europee con l’ambizioso obiettivo di ridare slancio a un progetto di integrazione rimasto in mezzo al guado. La principale preoccupazione era però quella che non tutti gli Stati la firmassero. Minacce provenivano soprattutto dalla Polonia e, in tono minore, dalla Grecia. Una giornata di celebrazione non poteva essere rovinata ufficializzando un’altra spaccatura (la Brexit basta e avanza) ed ecco dunque un documento che non scontenta nessuno, senza però lasciare anche solo immaginare qualche risvolto concreto. La tanto attesa svolta verso un’Unione a velocità differenti – nucleo ristretto di Stati che vanno verso una maggiore integrazione e Stati associati solo a determinate politiche – non c’è stata. Troviamo solo un accenno molto timido: «Agiremo congiuntamente, a ritmi e con intensità diversi se necessario, ma sempre procedendo nella stessa direzione, come abbiamo fatto in passato, in linea con i trattati e lasciando la porta aperta a coloro che desiderano associarsi successivamente. La nostra Unione è indivisa e indivisibile». Un richiamo alle cooperazioni rafforzate e strutturate, necessario ma non soddisfacente. Il velato accenno all’allargamento è grave ma non è serio. Ciò che poi segue, ovvero i 4 macro punti che delineano gli obiettivi per cui lavorare, sono retorica. Non che puntare a un’Europa più «inclusiva, coordinata nell’assicurare la sicurezza interna, promotrice dello sviluppo sostenibile, sociale ed economico, ambiziosa di essere protagonista nel panorama globale» sia banale o scontato, ma mai come in questo momento storico ci sarebbe bisogno di più coraggio nel proporre riforme sostanziali che rendano questi obiettivi concretamente perseguibili.
Il 25 marzo la tanto attesa svolta verso un’Unione a velocità differenti – nucleo ristretto di Stati che vanno verso una maggiore integrazione e Stati associati solo a determinate politiche – non c’è stata
«Vogliamo che l'Unione sia grande sulle grandi questioni e piccola sulle piccole. Promuoveremo un processo decisionale democratico, efficace e trasparente, e risultati migliori» è una conclusione che accende una luce di speranza, anche se per rendere effettivamente democratica un’Unione che si occupi più di fare politica estera o investimenti pubblici e meno di caratteristiche ottimali di crostacei, l’unica è strada è l’unione politica; e una simile presa di consapevolezza può essere letta nella dichiarazione solo dopo molti bicchieri di gin (magari con Juncker, che ne è un intenditore). Un richiamo di questo tipo però è stato fatto, ma fuori della cornice istituzionale. Migliaia di persone sono scese in piazza per chiedere un’Europa diversa dall’Unione Europea attuale, e non possono essere trascurate. Chi scrive era tra loro, quindi è imparziale. Tuttavia alcune cose possono essere dette senza grossi timori di essere smentiti. I due cortei – la “Marcia per l’Europa” organizzata dal Movimento Federalista Europeo e “La nostra Europa: unita, solidale e democratica” organizzata da ARCI – unitisi in Piazza del Colosseo, sono riusciti nella titanica impresa di smuovere cittadini, associazioni, partiti (quelli europei c’erano tutti), per una manifestazione dal forte senso civico e con un messaggio politico costruttivo: pretendere da chi è nella posizione per farlo una riforma dell’Europa in senso federale. Un messaggio che è spesso identificato come complesso ma che, in tempi difficili per chi crede nell’Europa e per la politica in generale, è riuscito a unire e coinvolgere più di quanto siano riusciti a fare i cortei di Eurostop. Mentre i cittadini europei – analoghe “March for Europe” si sono svolte anche a Londra, Varsavia, Berlino e altre città – sfilavano per le strade, la dichiarazione era già cosa fatta. Non è difficile aspettarsi che i riscontri concreti saranno ben pochi, specie alla luce delle scadenze elettorali in Francia, Italia, Germania. Alla fine, tutto dipende sempre dai governi nazionali.
Matteo Gori
FOCUS PAESI BASSI L'olandese votante
Una giornata insolitamente primaverile può aver favorito l’affluenza alle urne nei Paesi Bassi lo scorso 15 Marzo, almeno stando agli analisti. Un appuntamento elettorale che l’intera Unione Europea attendeva con ansia, con il timore dell’ennesima vittoria nazionalista. Così non è stato, almeno in parte. Con un’affluenza di poco superiore all’80 percento, il partito liberale del premier uscente Mark Rutte, il VVD, si è confermato primo nel parlamento de L’Aia, ottenendo 33 seggi su 150. Il risultato ha rovesciato i sondaggi; il grande favorito, Geert Wilders, euroscettico e islamofobo, con il suo partito, il PVV, si è fermato a 20 seggi. Una vittoria delle «società libere e tolleranti, in un’Europa che prospera» ha trionfato il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, mentre anche la stampa internazionale tirava un sospiro di sollievo e commentava con disperato entusiasmo la vittoria di Rutte. Ma è una vittoria modesta, e non segna la sconfitta del nazionalismo; piuttosto, quella dei sondaggisti. Anzitutto, perché il VVD ha perso 5 seggi dalle precedenti elezioni, e altrettanti ne ha guadagnati il PVV. Poi, perché un altro tipo di populismo, quello ambientalista, ha trionfato, guadagnando 10 seggi e arrivando ad ottenerne 14 grazie a proclami irrealizzabili. Ma soprattutto, perché l’Olanda, dopotutto, conserva ancora la sua anima più liberale. Non si tratta di una vittoria netta contro l’estremismo, perché relativamente contenuta. Certo è che Mark Rutte ha saputo interpretare con più sottigliezza di altri leader l’insofferenza, e fare proprie alcune tematiche distintive del principale rivale pur modellandole sull’esigenza di mantenere un profilo liberale. Destò scalpore l’iniziativa di Rutte di acquistare una pagina di giornale a Gennaio scorso per dire senza mezzi termini agli immigrati: «comportatevi normalmente, oppure andatevene». Ed ha probabilmente influito in modo consistente sul risultato la risolutezza del governo nell’impedire la campagna elettorale turca in Olanda, che ha poi innescato le proteste dei cittadini turchi a Rotterdam. Dall’altra parte, Wilders sembra avere pagato il prezzo di una politica in stile Trump condotta a colpi di tweet ma con un solo dibattito pubblico con il rivale Rutte. Per questo, c’è da chiedersi se il nazionalismo sia stato sconfitto veramente. Di certo c’è che la vocazione internazionale di Rotterdam e de L’Aia come sede della giustizia internazionale, insieme alla tendenza liberal di Amsterdam, hanno difeso i valori europei. Ma questo non era che il primo appuntamento: restano le elezioni in Francia, e quelle in Germania. E intanto Wilders annuncia che, un giorno o l’altro, «la primavera patriottica si realizzerà».
Leonardo Zanobetti
CALENDARIO In Europa, a marzo
14 marzo ► In Irlanda del Nord, dopo recenti elezioni politiche, Michelle O'Neill, leader del partito Sinn Féin, ha prospettato un referendum per l'indipendenza dal Regno Unito.
17 marzo ► Primo incontro tra la cancelliera tedesca, Angela Merkel, e il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Merkel ha ribadito la necessità di accogliere i rifugiati, mentre Trump ha sottolineato l'esigenza di restituire posti di lavoro agli americani.
20 marzo ► Dibattito televisivo tra i cinque principali candidati alla presidenza della Francia.
21 marzo ► Jeroen Dijsselbloem si è reso protagonista di un infelice accostamento tra la presunta violazione del rigore nei bilanci degli stati mediterranei e la spesa di denaro in bevande alcoliche e piaceri della carne. Anche dal suo gruppo, S&D, si sono levate critiche e richieste di dimissioni.
25 marzo ► Nell'occasione dei 60 anni dai Trattati di Roma, migliaia di persone si sono ritrovate a Roma per la March for Europe, chiedendo una svolta per la UE verso la federazione.
25 marzo ► In piazza anche a Londra contro la Brexit e per rimarcare il ruolo dei legami con la UE.
28 marzo ► Con 69 voti contro 59, il devolved parliament scozzese ha approvato la proposta del governo di un nuovo referendum per l'indipendenza dal Regno Unito, dopo il fallimento di quello del 2014.
29 marzo ► L'ambasciatore britannico a Bruxelles, Tim Barrow, ha consegnato a Donald Tusk, presidente del Consiglio Europeo, la lettera con cui si dà formale avvio ai negoziati per l'uscita del Regno Unito dalla UE.
SPUNTI per l'Europa
The Financial Times Brexit timetable: Brussels takes three-stepped approach
Internazionale Perché non possiamo rinunciare all'Unione Europea
The New York Times How far is europe swinging to the right?
Commenta