Le riforme non sono un pranzo di gala

Gli annunci del plenum cinese tra revisione degli hukou e lotta degli operai migranti

Alla chiusura del terzo plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, gli occhi del mondo intero si sono rivolti verso Pechino, dove la nuova dirigenza del partito ha annunciato un complesso piano di riforme. Si è detto che l’insieme delle riforme promosse da Xi Jinping avrebbero l’obiettivo di dare via libera al mercato, aprendo la strada alla liquidazione dei grandi conglomerati industriali statali. In realtà, il comunicato ufficiale del terzo plenum si esprime diversamente: «Il Plenum ha sottolineato che un sistema economico di base incentrato sulla proprietà statale, sviluppato unitamente ad altre tipologie di sistemi di proprietà, è il principale pilastro del Socialismo con caratteristiche cinesi. Dobbiamo consolidare e sviluppare con determinazione questo sistema, insistendo sul suo ruolo dominante e valorizzando il ruolo chiave del sistema di proprietà statale, rafforzandone la vitalità, la forza di controllo e l'influenza». La posizione “dominante” della proprietà statale è un semplice dato di fatto. Se, infatti, il più grande conglomerato statale cinese possiede asset per 2200 miliardi di yuan, la maggiore controparte privata non arriva ai 150. L’unica misura che in concreto sembra “aprire al mercato” è la proposta di consentire ai privati di acquisire quote di imprese statali fino a un tetto del 10-15%. Comunque, lungi dal liquidare il ruolo dello Stato (e del Partito) nell’economia, il plenum ne ha annunciato il “rafforzamento”.

Più inosservato è passato l’altro pilastro delle riforme, rappresentato dalla promozione della giustizia sociale all’interno del Paese, nel quadro di una precisa strategia di riorientamento del modello di sviluppo economico cinese dalle esportazioni, i cui mercati di sbocco arrancano, al mercato interno, da rivitalizzare redistribuendo il reddito ed espandendo la domanda nazionale. Queste riforme redistributive hanno peraltro la caratteristica di essere anche, e soprattutto, una risposta alle violente tensioni sociali prodotte dal vertiginoso processo di industrializzazione in atto da trent’anni (3). Risultato di spinte sia dall’alto sia dal basso, hanno il loro centro propulsore nella revisione in senso inclusivo del sistema degli hukou, cioè dei permessi di residenza, il cui possesso è condizione indispensabile per l’accesso ai servizi sociali (istruzione, sanità e previdenza) nelle metropoli industriali. La storia degli hukou è strettamente legata alla “grande trasformazione” innescata dalle riforme di Deng Xiaoping, che negli ultimi 20-30 anni ha spinto qualcosa come 200 milioni di contadini cinesi a riversarsi nei grandi centri industriali della costa, installati da capitali stranieri attratti da un clima economico particolarmente adatto allo sfruttamento di manodopera sottopagata e senza diritti. In questo contesto, milioni di contadini in fuga da un vita rurale fatta di disoccupazione, miseria ed espropri, hanno preso la via della città, rimanendo però, per così dire, a metà strada. Nell’impossibilità di ottenere i permessi di residenza, infatti, gli immigrati interni sono stati esclusi per decenni dai servizi sociali essenziali, impossibili da garantire estensivamente in presenza di un sistema fiscale businness-friendly, necessario per attirare investimenti. Di qui la “proletarizzazione incompiuta” degli operai-contadini, segnata da una netta separazione spaziale tra la città, luogo di produzione, e la campagna, che resta il luogo privilegiato di riproduzione della forza lavoro migrante, dove le funzioni di cura e tutela sociale sono scaricate dallo Stato sulle famiglie di origine dei lavoratori stessi. Stretti così tra il mondo rurale di provenienza e l’agognata vita cosmopolita delle grandi città, milioni di operai-contadini, in gran parte ragazze tra i 16 e i 20 anni d’età, sono stati disciplinatamente irreggimentati nel sistema delle fabbriche-dormitorio, dove la contiguità spaziale tra luogo del processo lavorativo (caratterizzato da catene di montaggio tanto chilometriche quanto alienanti) e luogo di riproduzione quotidiana della forza lavoro consente una dilatazione indefinita e flessibile dell’orario di lavoro e un controllo pervasivo sui ritmi produttivi e sulla vita quotidiana del salariato.

L’assenza di tutele legali consente ai capitalisti un ricambio periodico della forza lavoro, attingendo al serbatoio inesauribile della popolazione rurale, utile per moderare le richieste salariali. Tuttavia, la concentrazione di grandi masse di manodopera in uno stesso luogo favorisce anche l’organizzazione dei lavoratori in caso di protesta, che spesso trova sfogo in azioni spontanee per resistere allo sfruttamento e ottenere migliori condizioni economico-normative. Scioperi, marce, blocchi stradali e vertenze, infatti, sono aumentati in modo esponenziale con il procedere della rivoluzione industriale cinese, coinvolgendo masse sempre più cospicue di lavoratori. Queste drammatiche tensioni sociali sono alla base delle riforme più significative degli ultimi 10 anni. Nel 2005, dopo un biennio di esplosione delle azioni collettive e di (conseguente) aumento dei salari, Hu Jintao promosse l’adozione di prime forme di tutele lavoristiche, comprensive di minimi salariali, divieto di licenziamenti ingiustificati, limiti alla giornata lavorativa e obblighi di sicurezza. Sebbene sia rimasta per anni lettera morta, la legge del 2005 ha fornito in ogni caso ai lavoratori migranti una base legale persuasiva per le loro rivendicazioni. Avvicinandoci di più all’attualità, la classe degli operai-contadini è stata al centro delle attenzioni di Bo Xilai, esponente dell’ala neomaoista del Partito, che a Chongqing, tra il 2007 e il 2012, plasmò un modello di sviluppo teso ad espandere la domanda interna migliorando le condizioni di vita dei lavoratori migranti, in primis concedendo con generosità proprio gli hukou.

L’eredità di Bo Xilai, condannato all’ergastolo al termine di un clamoroso processo per corruzione, è stata raccolta dai suoi stessi avversari politici, Xi Jinping in testa, ora dominatori incontrastati del Partito. È convinzione diffusa, infatti, che una più generosa concessione dei permessi di residenza, facendo accedere ai servizi sociali urbani milioni di lavoratori migranti che prima ne erano esclusi, dovrebbe alleviare le tensioni sociali e liberare ampie porzioni del reddito degli operai-contadini e delle loro famiglie, con effetti espansivi della domanda interna. All’annuncio dell’estensione della protezione sociale il plenum ha affiancato un progetto di riforma fiscale che dovrebbe aumentare l’imposizione sui profitti delle grandi concentrazioni industriali, soprattutto statali, nonché una proposta per rimuovere gli ostacoli alla libera alienabilità dei terreni coltivabili. Il significato unitario di queste riforme così diverse è chiaro. Lo spostamento di reddito dai profitti ai salari, innescato dalla riforma del fisco e degli hukou, oltre a migliorare le condizioni di vita di milioni di lavoratori rimuoverà i principali ostacoli all’inurbamento degli ex contadini e delle loro famiglie (cioè l’impossibilità di fruire dei servizi essenziali); e gli abitanti delle campagne, se in grado di spogliarsi dei propri appezzamenti agricoli scarsamente produttivi (che saranno più proficuamente sfruttati da Stato e grandi imprese), saranno incentivati a riversarsi nei principali centri di produzione industriale. Si completerà, così, un processo di proletarizzazione rimasto “a metà” per almeno vent’anni. Paradossalmente, l’elevazione dalla miseria nera di milioni di cinesi dovrà passare attraverso la loro proletarizzazione integrale.

Sugli effetti di queste riforme annunciate sotto «il magnifico stendardo del Socialismo con caratteristiche cinesi» resta comunque difficile fare previsioni. Molto dipenderà da come si integreranno le riforme degli hukou, del fisco e sul mercato della terra. Una cosa però è certa: l’attuale fase storica che sta attraversando la Cina popolare non può essere compresa senza considerare le condizioni materiali di vita della classe dei lavoratori migranti cinesi. Il ruolo che gli operai-contadini hanno giocato nel recente passato e che continueranno a svolgere nel prossimo futuro è cruciale. Sarà il caso di tenerli d’occhio.
 



In collaborazione con La Clessidra

 

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