La Svezia è davvero un paese modello? | Eureka

Criminalità e estrema destra aumentano in Svezia. C'è da preoccuparsi?

«L'Europa appartiene agli Europei». Il Dalai Lama, in visita in Svezia durante la campagna elettorale, si esprime sulla questione migratoria, aggiungendo poi che i migranti dovrebbero fare ritorno nei loro Paesi d'origine per prendere parte alla loro ricostruzione.

 

L’ennesima elezione che ha tenuto l’Europa col fiato sospeso si è svolta in Svezia, terra nota per il welfare generoso e il pratico arredo casalingo di design. Stavolta il tema che ha concentrato una grande attenzione mediatica era, come da anni a questa parte, la possibilità che il voto in questione attentasse alla tenuta dell’Unione Europea. Minaccia resa credibile dalla forte (ancor più nei sondaggi che nella realtà) ascesa dei Democratici Svedesi, partito dichiaratamente anti-immigrazione, anti-UE, anti-islamizzazione e per una “Svezia degli svedesi”. Il loro programma traduceva in propositi questa direzione ostinata, basandosi oltre che sulla proposta di uscita dall’Unione (senza chiamarlo Piano B, visto che loro nell’Euro non ci sono mai entrati) soprattutto su un blocco totale dell’immigrazione da altri Paesi.

C’è da dire che la Svezia è sicuramente un caso di specie quando si parla di politiche sociali in Europa. Vanta uno dei sistemi di welfare più antichi ed estesi al mondo e negli ultimi anni si è contraddistinta per un elevato grado di apertura all’accoglienza di rifugiati e immigrati. Conseguenza inevitabile di questo approccio tollerante è un’integrazione sempre più complessa da gestire, nei fatti e nella percezione. E questi ultimi sembrano essere entrati in contrasto a tal punto, da costringere il governo svedese ad una pubblicazione ufficiale riguardo le errate credenze diffuse nell’opinione pubblica su immigrazione e crimini. Tra le tante smentite, anche quella riguardo le presunte no-go-zone, luoghi in cui le autorità svedesi non eserciterebbero alcun controllo, su cui si è molto scritto anche in Italia, oltre a una certa minimizzazione del terrorismo. Questo tentativo di debuking governativo non sembra tuttavia essere stato sufficiente a fermare l’aumento di consensi per i Democratici, che arrivavano alla consultazione del 9 settembre col vento dei sondaggi in poppa.

I risultati definitivi, così come riporta Youtrend, vedono come primo partito (come accade ormai ininterrottamente dal 1917) i Socialdemocratici, con il 28,4% dei voti, in calo di quasi 3 punti rispetto al 2014. I Moderati (centrodestra) si piazzano secondi, e i Democratici Svedesi, nazionalisti, seguono al terzo posto con il 17,6 percento, ma in aumento di 4,7 punti percentuali rispetto al 2014.
Il parlamento svedese, Riksdag,  si trova così con una forte instabilità, perché in termini di seggi le potenziali coalizioni di centrosinistra e di centrodestra sono appaiate (144 per la prima, 143 per la seconda). Anche un governo di minoranza sembra molto difficile. Il primo tentativo è spettato a Stefan Löfven, premier socialdemocratico uscente, ma è fallito con un voto di fiducia che ha visto 204 voti contrari su 349 (praticamente tutto il centrodestra più i Democratici). Ora la palla non può che passare ai Moderati.
 

Considerare questo voto un referendum pro o contro Unione Europea è legittimo, perché la questione della gestione dei flussi migratori è dirimente non solo in Svezia ma in tutto il continente


Considerare questo voto un referendum pro o contro Unione Europea è legittimo, perché la questione della gestione dei flussi migratori è dirimente non solo in Svezia ma in tutto il continente. E vale lo stesso per l’ascesa di partiti orgogliosamente nazionalisti e xenofobi, uniti da una chiara volontà di chiusura e protezionismo rispetto alla comunità internazionale, giustificata da una distorta visione del patriottismo. I Democratici Svedesi incarnavano tutto ciò, ed è innegabile che il loro aumento dei consensi abbia raggiunto una nuova vetta. Ragionando però nell’ottica referendaria, le percentuali assegnerebbero una netta vittoria al fronte pro-UE. Emergono allora due visioni abbastanza consolidate: una positivista, che vede il fronte europeista trionfare anche questa volta nonostante tutto, e una negativista, pronta ad esaltare il buon dato degli euroscettici prima di tutto il resto.

Questa polarizzazione rischia di essere spesso superficiale e mai del tutto veritiera in nessuno dei due casi. Si trascurano infatti profonde dinamiche nazionali che poi fanno la differenza e smentiscono certe percezioni dei sondaggi. I Democratici si sono fermati ampiamente sotto il 20% previsto e i partiti tradizionali hanno perso meno voti del previsto (una parte dei quali, dopo aver governato). È tuttavia presente un disagio reale, oltre quello percepito lucidamente affrontato dal governo, che si tramuta in una migrazione di consensi dai partiti tradizionali a quelli più estremisti, un po’ ovunque e anche in Svezia. Parte di questo disagio, al netto delle questioni peculiari di ciascun Paese, è rappresentato dalla complessità portata dall’integrazione. Manca non solo un modello europeo per affrontare la questione, ma anche un modello nazionale, in quasi tutti gli Stati. La Svezia era uno dei pochi che sembrava aver trovato soluzioni efficaci e a basso livello di ipocrisia. A maggio ad esempio a maggio è stata approvata una legge che concede a 9mila minori non accompagnati di fare una seconda richiesta di asilo. A gennaio 2016 invece, il governo di centrosinistra decise di rispondere al boom di arrivi del 2015, annunciando un piano di rimpatri per 80.000 immigrati irregolari. Un tentativo deciso che, se pur proceda a ritmo lento e con qualche isolata resistenza spettacolarizzata, dimostra un pragmatismo lodevole.

La gestione emergenziale è ancora comunque la via maestra per gli stati europei, in assenza di una politica migratoria europea strutturata. Una vera e propria utopia alla luce degli ultimi summit del Consiglio Europeo, dove vince l’inettitudine. In questo quadro, i nazionalisti continuano a crescere, uniti da una serrata “lotta all’invasione” (che nei numeri non esiste). Non esiste un pacchetto di soluzioni predefinite, e il compromesso tra Stati è inevitabile ma lo stallo totale a cui assistiamo da anni è inaccettabile. C’è il rischio concreto che a forza di trattenere il fiato, ogni elezione, per la paura che vincano gli estremisti, l’Unione Europea smetta di respirare.

Matteo Gori

 


CALENDARIO In Europa, a settembre
6 settembre ► Francia e Benelux propongono una soluzione non troppo originale per controllare il flusso migratorio dall'Africa: più aiuti in cambio di sostegno nella riduzione degli arrivi.
12 settembre ► Nel suo ultimo State of the Union, Jean-Claude Juncher ripete: "l'Europa è l'amore della mia vita", e propone una polizia di frontiera di tipo federale.
21 settembre ► Theresa May, premier del Regno Unito, accusa l'Unione Europea di aver bloccato le negoziazioni in un impasse.
27 settembre ► Il governo italiano propone un documento di economia e finanza che prevede un deficit al 2.4%, provocando i dubbi della Commissione.

 


SPUNTI per l'Europa
Il Foglio Perché il piano B del governo è il piano A di Salvini
WSJ The EU Spent a Bundle to Unify the Continent. It's Not Working
Le Figaro Depuis l'élection de Macron, sept ministres ont quitté le gouvernement


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