Gennaio in Europa - Eureka

Il fallimento dell'accordo tra M5S e Alde e l'elezione di Tajani alla guida del Parlamento europeo

«Trump ha parlato con Tusk e ci ha scambiati. Ma ciò che conta nella politica internazionale sono i dettagli». Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, in merito alle dichiarazioni rilasciate nel corso di un'intervista a The Times e a Bild, da parte del neo presidente USA, Donald Trump.
 

FOCUS EUROPA Duello italiano al Parlamento europeo
Nella serata del 17 Gennaio 2017, il Parlamento Europeo ha eletto Antonio Tajani – italiano, membro di spicco del Partito Popolare Europeo (EPP), già commissario europeo nella precedente legislatura, già ufficiale dell’Aeronautica, già militante nella giovanile dell’Unione monarchica italiana – come suo nuovo Presidente. Un risultato pronosticabile alla vigilia, anche se non scontato, visto che l’elezione a voto segreto è avvenuta al quarto scrutinio, quando cioè si sono sfidati in un ballottaggio (in cui è necessaria la maggioranza semplice dei voti) i due candidati più votati nei precedenti tre round (dove, invece, serve la maggioranza assoluta dei votanti per essere eletti).  
Il neo-successore del tedesco Martin Schulz ha prevalso con 351 preferenze, superando le 282 del principale rivale Gianni Pittella, italiano anche lui, presidente del Gruppo dei Socialisti e Democratici. Passati più in sordina gli altri candidati: Eleonora Forenza (GUE/NGL), Jean Lambert (Verdi), Laurenţiu Rebega (ENF), Helga Stevens (ECR). Poi, ovviamente, c'era anche Guy Verhofstadt (ALDE).
A fare la differenza, in casi come questi, sono le alleanze tra gruppi. I Popolari hanno incassato sin dalla mattinata l’appoggio di ALDE, sulla base di un accordo scritto, a cui è ovviamente seguito il ritiro di Verhofstadt dalla corsa. I socialisti invece, escludendo fin da subito un’eventuale ricerca di accordo con i liberal-democratici, non sono riusciti a trovare alleanze solide. Tuttavia i Conservatori e Riformisti non si sono tirati indietro sino a quando non sono stati costretti dalle procedure, rendendo necessario per la seconda volta nella storia (la prima fu nel 1982) l’utilizzo del ballottaggio.
Tajani ha avuto modo di rimarcare con forza che il suo mandato non lo vedrà incarnare un ruolo troppo politico, ma piuttosto quello dell’arbitro imparziale della democrazia europea. È proprio la democrazia talvolta incerta dell’Unione europea ad essere incarnata dal Parlamento europeo, che è eletto a suffragio universale dal 1979. Sarebbe però nell’interesse dei cittadini europei che chi presiede l’assemblea che li rappresenta (seconda al mondo per numero di elettorato attivo) non si limitasse a gestire il dibattito ordinario, ma incarnasse e promuovesse, nei limiti delle sue funzioni, una spinta propositiva verso le sfide che attendono al varco l’UE, nel prossimo futuro.

Matteo Gori
 

FOCUS ITALIA Matrimonio all'italiana
Bisognava capirlo fin da subito. Guy Verhofstadt, il pugnace e frizzante leader del gruppo Alde al Parlamento europeo, era stato piuttosto chiaro. In un video di presentazione della propria candidatura alla guida del Parlamento europeo, ammetteva limpidamente che l’esperienza di capo del governo belga gli ha insegnato che «il compromesso non è una parolaccia, e che non è un male necessario, ma un modo di essere creativi». Questa creatività – da molti fraintesa come trasformismo o, peggio ancora, come opportunismo – lo ha portato a un rocambolesco tentativo di accordo con il Movimento 5 stelle, prima che naufragasse miseramente, per poi lasciarsi ammaliare dal PPE, gruppo più conservatore e meno liberale.
Tutto è cominciato con una sorpresa. Tanto inattesa che i diciassette parlamentari europei del Movimento non ne sapevano nulla, né concordavano unanimemente. La mattina dell’8 gennaio il blog di Beppe Grillo propone un sondaggio per «scegliere se e come dare un futuro al Movimento 5 stelle in Europa». La scelta secca era tra restare nel gruppo EFDD, fondato dal fine artefice della Brexit Nigel Farage, oppure scegliere il paradiso del liberoscambismo e del capitale delle multinazionali, l’Alde, o ritrovarsi altrimenti col cero in mano nel gruppo misto, che equivale a contare quasi niente nell’Europarlamento. La ragione della votazione è spiegata in poche parole: «l’Ukip ha raggiunto il suo obiettivo politico» e non sarà nella prossima legislatura. Quindi, il rischio è perdere fondi da spendere. La votazione improvvisa chiama a raccolta oltre 40mila membri iscritti, che scelgono dopo un giorno e mezzo di votazioni al 78,5 percento di confluire nell’Alde. Un patto di convenienza che per Alde avrebbe significato maggiori possibilità di giungere alla presidenza dell’Europarlamento e avrebbe assicurato ai pentastellati di continuare ad impinguare le casse con i soldi europei. Pronta la letterina pubblica da Grillo a Farage: «Dear Nigel, le nostre stade si sono divise». Con la raffinata chiusa in cui si auspica la nomina di Farage a ambasciatore del Regno Unito negli USA. Con tanto affetto e stima.
I paladini della democrazia orizzontale erano troppo impegnati a votare per chiedersi dove fosse finita la tanto celebrata trasparenza, in una trattativa condotta nell’ombra che aveva portato già due giorni prima ad un accordo tra Alde e Movimento 5 stelle. Un accordo che, a ben guardare, conferma la linea dell’Alde in favore di una visione fortemente europeista e, soprattutto, sottolinea l’imprescindibilità della moneta unica. Non esattamente la linea politica del Movimento 5 stelle. Ma la trasparenza è rischiosa. Per questo l’Alde e il Movimento 5 stelle hanno dato il via contestualmente a una silenziosa catarsi informatica per eliminare ogni ostacolo storico al patto e purificarsi le coscienze. I grillini eliminavano lesti le tracce delle liste di proscrizione di impresentabili di deputati europei tra cui figurava il «collezionista di poltrone» Verhofstadt, tacciato di essere persino «euroStatocentrista». Il gruppo straeuropeista Alde cancellava un post ufficiale del 2014 in cui giudicava «assolutamente incompatibili» le condizioni dettate dal Movimento per eventuali alleanze nell’Europarlamento perché i grillini «non credono nel progetto europeo e sembrano, nei fatti, spiccatamente anti-europeisti» di cui si trova ancora traccia qui e, in parte, sul sito di una ex-deputata europea dei LibDem britannici. Per quello che non si poteva cancellare, come la vibrante invettiva di Verhofstadt contro Farage, c’era solo da sperare (ingenuamente) che nessuno se ne ricordasse.
Ma poi tutto è naufragato. Il dissenso interno ad Alde monta fino alle minacce di dimissione di alcuni deputati e i membri individuali dell’Alde italiano pomuovono una petizione contro il Movimento che raggiunge più sostenitori degli iscritti stessi. Verhofstadt rinuncia a causa di «fondamentali differenze» di cui sembra solo adesso accorgersi. La poltrona di Verhofstadt scricchiola, ma solo per un attimo, prima di vendersi al novello miglior offerente: Verhofstadt ritira la propria candidatura, poi sigla un altro accordo con il Partito dei Popolari Europei. E Beppe Grillo strilla sul blog che «l’establishment» in cui volevano entrare li ha respinti, poi torna da Farage con la coda tra le gambe. Ma sia Beppe Grillo che Guy Verhofstadt hanno compromesso la propria credibilità, e se gli elettori del Movimento hanno scarsa memoria – e poca cultura politica – gli elettori liberali ne hanno molta e difficilmente dimenticheranno il trasformismo di Verhofstadt. Ops, creatività.

Leonardo Zanobetti
 

CALENDARIO In Europa a gennaio
5 gennaio
► La Slovenia ha approvato delle modifiche alla legge che regola l’immigrazione nel Paese al fine di consentire la chiusura temporanea delle frontiere, nel caso in cui i flussi migratori pongano a rischio l’ordine pubblico e la sicurezza interna.
11 gennaio ► Il Cancelliere austriaco Christian Kern ha dichiarato di voler stabilire che i lavoratori austriaci abbiano la precedenza su quelli provenienti da altri paesi dell’UE. Ha inoltre aggiunto che procederà ad abbassare il tetto massimo di richieste di asilo da 35mila a 17mila all’anno.
17 gennaio ► Theresa May, primo ministro del Regno Unito, ha chiarito che, dopo la Brexit, il suo Paese non rimarrà parte del mercato unico, ma al contempo cercherà di ottenere le condizioni «per il più libero scambio» con gli altri Stati Membri. Si prospetta quindi uno scenario di hard Brexit per il Regno Unito.
17 gennaio ► L’High Level Group on Own Resources, guidato da Mario Monti, ha pubblicato i risultati di quasi due anni di lavoro. Dal rapporto emerge la necessità di riformare la struttura del budget europeo, in un’ottica di maggior trasparenza e maggiori investimenti sul tema del controllo delle frontiere e del contrasto al cambiamento climatico.
18 gennaio ► Il Mediatore europeo ha stabilito che la Commissione europea debba farsi carico di verificare l’impatto sui diritti umani risultante dall’accordo sul contenimento dei flussi migratori siglato nel marzo scorso tra l’Unione Europea e la Turchia.
21 gennaio ► Marine Le Pen del Front National francese, insieme a Matteo Salvini (Lega Nord), Geert Wilders (Partij voor de Vrijheid olandese), ospitati a Coblenza (Germania) da Frauke Petry (Alternative Für Deutschland), hanno riunito i loro partiti nazionalisti ed euroscettici in un incontro aperto al pubblico per discutere di una “nuova Europa”.
24 gennaio ► La Corte suprema del Regno Unito ha stabilito definitivamente che il governo di Theresa May non potrà dare avvio alle procedure per la Brexit previste dall’Articolo 50 del Trattato di Lisbona senza che il parlamento lo autorizzi tramite una votazione. La sentenza, frutto del ricorso del Segretario per l’uscita dall’Unione Europea rispetto al primo grado di giudizio, ha entusiasmato i remainers.
27 gennaio ► Theresa May, primo ministro del Regno Unito, incontra il neo-presidente USA, Donald Trump. Nel corso dell'incontro, patto su lotta al terrorismo e più stretti rapporti commerciali. Trump loda la sovranità riacquisita del Regno Unito, mentre May assicura ai giornalisti che Trump supporta «al 100 per cento» la NATO.
29 gennaio ► Benoît Hamon è il candidato all'Eliseo per il partito socialista. Ex-ministro dell'istruzione, 49 anni, ha vinto con il 58 per cento dei voti contro il rivale, Manuel Valls, ex-premier, che ha scontato l'impopolarità del governo di Hollande.

 

SPUNTI per l'Europa
The Guardian
This is Brexit poker - and Theresa May was right to up the stakes
La Stampa Prodi: “I progressisti devono rispondere al malessere della classe media”
Internazonale Le azioni dell'Europa sono in rialzo
Il Sole 24 Ore L'Europa ha in mano il suo destino
The Economist At a summit in Germany, nationalism goes international


Parte della serie Eureka, la rassegna europea

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