Febbraio in Europa - Eureka
Tre documenti per riformare la UE mentre in Romania si scende in piazza
«A un certo punto nel futuro, se i cittadini lo vorranno, potrebbe esserci un'Irlanda unita, con una transizione come quella tra Germania Est e Ovest dopo la caduta del Muro». Enda Kenny, primo ministro irlandese, commentando gli scenari post-Brexit a margine di un incontro con il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani.
FOCUS EUROPA Cambiare per non morire
Il 16 febbraio scorso il Parlamento europeo ha provato a dare una scossa a un’Europa in crisi, tra Brexit e nazionalismi di ritorno, approvando un «Pacchetto sul futuro dell’Unione». Purtroppo se ne è parlato ben poco - comprensibile, vista la sua natura piuttosto tecnica – ma quanto proposto, se implementato, potrebbe davvero rappresentare una svolta. L’iter è cominciato più di un anno fa, quando nelle rispettive Commissioni sono arrivati i tre rapporti, contenenti ambiziose proposte per risolvere diversi problemi strutturali dell’UE. A presentarli sono cinque parlamentari, specificando che il tris è parte di un unico pacchetto, da approvare o rigettare tutto insieme. La motivazione è chiara se si legge il contenuto dei testi: sono pieni di riferimenti incrociati, e ridisegnano in maniera compiuta l’assetto istituzionale dell’intera Unione Europea.
Elmar Brok (PPE, Germania) e Mercedes Bresso (PSE, Italia) in «Improving the functioning of the European Union building on the potential of the Lisbon Treaty» partono dalla consapevolezza che molto si può ancora migliorare rimanendo all’interno di quanto stabilito nei Trattati. Da un punto di vista istituzionale, il punto essenziale è procedere a una trasformazione dell’attribuzione del potere legislativo, affinché diventi bicamerale: Parlamento Europeo come camera bassa (a rappresentare i cittadini), e Consiglio dell’Unione Europea come camera alta (per rappresentare gli Stati) che deliberi integralmente a maggioranza qualificata, anziché all’unanimità. A quest’ultimo e al Consiglio Europeo (sembrano uguali ma non lo sono – raffinatezze lessicali della burocrazia europea) è richiesta più trasparenza nelle decisioni. Sul piano economico, è fortemente caldeggiato il completamento dell’unione bancaria: sistema di vigilanza e meccanismo di risoluzione delle crisi unici, con l’aggiunta un sistema comune di assicurazione sui depositi bancari. Anche in materia di politica estera, stando al rapporto, si può fare molto: mettere in pratica le cooperazioni rafforzate in materia di sicurezza e le cooperazioni strutturate permanenti in tema di difesa (già nei Trattati, ma ignorate), ovvero gruppi di Stati che collaborino completamente in questi ambiti; l’orizzonte è quello di un’unica politica estera e di difesa. Infine, il tema immigrazione, che richiede nulla più di quanto già proposto dalla Commissione negli ultimi anni: un sistema di intelligence europeo efficiente, controllo comune delle frontiere esterne e un’unica politica di asilo a livello europeo.
Guy Verhofstadt (ALDE, Belgio) si è invece occupato delle «Possible Evolutions of and Adjustments to the Current Institutional Set-up of the European Union». Negli ultimi tempi si è reso protagonista di giochetti parlamentari che ne hanno minato la credibilità, che si sarebbe però immediatamente riaffermata se solo l’interesse dei media verso il suo rapporto fosse stato lo stesso che per la sua piccola infatuazione per Grillo. Così non è, e allora tocca a noi cercare di diffondere il suo lavoro. Nel documento di Verhofstadt è l’assetto istituzionale nel suo complesso che necessita di essere riformato, ponendo il tema della revisione dei Trattati. SI chiede la creazione di due soli status possibili nell’Unione: stato «membro» completamente inserito nell’iter di integrazione europeo, oppure «associato», che potrà decidere di quali politiche far parte e solo su quelle potrà avere voce in capitolo, così da evitare nuovi casi come quello del Regno Unito. In un’ottica di maggiore democrazia è richiesta l’elezione diretta del presidente della Commissione europea, organo che dovrebbe diventare il Governo politico dell’Unione, maggiormente responsabile di fronte all’Europarlamento. Ciò grazie a una riforma della legge elettorale che preveda, per ciascun partito, la presentazione due liste: una nazionale e una sovranazionale con il capolista candidato alla presidenza della Commissione. L’unanimità di voti per le modifiche ai trattati andrebbe eliminata, in favore di una - più democratica - maggioranza dei quattro quinti degli stati membri. Viene inoltre suggerito di integrare nei trattati ciò che è stato partorito al di fuori di essi: il Fiscal Compact e il Meccanismo Europeo di Stabilità, chiamato anche Fondo salva Stati; quest’ultimo dovrebbe fungere da Fondo Monetario Europeo.
Proprio l’aspetto fiscale è quello sviluppato dal terzo rapporto, curato da Pervenche Berès (PSE, Francia) e Reimer Böge (PPE, Germania), sulla «Budgetary Capacity for the Eurozone». A partire dalle idee avanzate nei precedenti rapporti, è richiesta la creazione di un «codice di convergenza» (come in Verhofstadt) che stabilisca i criteri ai quali gli Stati siano giuridicamente vincolati in materia di «fiscalità, mercato del lavoro, investimenti, produttività, coesione sociale, pubblica amministrazione e capacità di buona governance». A questo si dovrebbe affiancare un bilancio più ampio e solido, finanziato da risorse proprie e quindi in grado di promuovere investimenti a livello europeo. Fondamentale è che ci sia una «rendicontabilità democratica» nel controllo di queste risorse, per questo è vista come necessaria la creazione di un Ministro delle Finanze e del Tesoro a livello europeo.
Approvando queste risoluzioni, il PE ha dimostrato buone capacità di auto-analisi. Ora resta l’ultimo scoglio: l’approvazione da parte degli stati membri, dove la politica si concentra sul nazionalismo e non sugli orizzonti di riforma dell’Unione. Purtroppo in Europa talvolta anche scripta volant.
Matteo Gori
FOCUS ROMANIA Europa contro la corruzione
Secondo i dati diffusi da Transparency International, la Romania si colloca al 57esimo posto tra i Paesi con il più alto tasso di corruzione percepita. Per questa ragione, dopo il suo ingresso nell’UE nel 2007, la Commissione europea ha posto sotto osservazione il governo della Romania, includendolo nel Cooperation and Verification Mechanism, richiedendo misure di contrasto alla corruzione, particolarmente elevata nel settore giudiziario. Quando nella tarda serata del 31 gennaio il governo guidato da Sorin Grideau, in carica da poche settimane, ha approvato un decreto legge che depenalizzava i reati di corruzione che generassero danni erariali inferiori ai 200 mila Lei (circa 44 mila Euro), sono esplose le proteste. Dapprimo alcune migliaia di persone sono scese in varie piazze del Paese per protestare contro la mossa del governo, per poi diventare 250 mila, fino al mezzo milione di domenica, e dare il via ad una protesta più grande di quella contro il dittatore filosovietico Ceaușescu. Il governo, intanto, ha giustificato il decreto approvato in circostanze emergenziali come soluzione al sovraffollamento carcerario (che continua ad essere un problema) e in base alla necessità di armonizzare la legge a livello costituzionale. Tuttavia, le opposizioni, guidate dal presidente liberale Klaus Ioannis, hanno accusato il governo di voler sottrarre al giudizio il Liviu Dragnea, leader di SPD, il partito socialdemocratico di governo, e buona parte dei funzionari pubblici indagati per corruzione. Da Bucarest si è levato il grido di aiuto rivolto all’Unione Europea, per garantire il rispetto della rule of law nel Paese, mentre i manifestanti hanno composto una bandiera europea con carta blu e gialla, illuminata dalla luce dei telefoni cellulari nella notte. E la risposta di Bruxelles non è tardata, ed è giunta con un comunicato stampa congiunto del presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, e del vice-presidente, Frans Timmermans: «la lotta alla corruzione deve andare avanti, e non bisogna tornare indietro». Il governo è stato quindi costretto dalla pressione popolare a ritirare il provvedimento di urgenza. «Voglio guardare al lato positivo di quello che è accaduto: la società civile ha reagito su questo argomento. È un’ottima notizia per il Paese» ha commentato in un’intervista il primo ministro Grideau.
Leonardo Zanobetti
CALENDARIO In Europa, a febbraio
1 febbraio ► Con 498 voti contro 114, il parlamento britannico ha formalmente autorizzato il governo a dare avvio alle procedure per l'attuazione dell'Articolo 50 per l'uscita dall'UE. Determinante il voto dei Labour di Jeremy Corbyn, che ha causato dissensi interni al partito.
2 febbraio ► In un'intervista al Berliner Morgenpost, il presidente ucraino Petro Poroshenko ha dichiarato l'intenzione di indire un referendum popolare circa l'ingresso del suo Paese nella Nato.
2 febbraio ► Il governo italiano e il governo riconosciuto libico di Fayez al-Sarraj hanno siglato un accordo per il contenimento dell'immigrazione dal Nord Africa.
3 febbraio ► I leader dell'UE si sono incontrati a La Valletta ed hanno offerto pieno appoggio all'accordo bilaterale per il contenimento dell'immigrazione del governo italiano con la Libia, ma hanno rimarcato il ruolo chiave degli stati membri nel fronteggiare la crisi.
13 febbraio ► Stando al presidente della Banca centrale francese, Francois Villeroy de Galhau, ha avvertito che l'uscita della Francia dall'Euro costerebbe circa 30 miliardi di pil all'anno.
15 febbraio ► Dopo la firma da parte della Commissione europea ad ottobre, il Parlamento ha approvato a larga maggioranza il CETA, l'accordo commerciale di libero scambio che coinvolge Unione Europea e Canada.
23 febbraio ► L'immigrazione netta verso il Regno Unito è ai minimi storici da due anni. Lo certificano i dati dell'Office for National Statistics, mentre oltre 55mila cittadini britannici si sono trasferiti all'estero nello stesso periodo.
24 febbraio ► François Fillon, candidato gollista alla presidenza francese, è ufficialmente indagato dalla magistratura nell'ambito della presunta fittizia assunzione della moglie come assistente, retribuita con fondi pubblici.
SPUNTI per l'Europa
Il Sole 24 Ore La vera sfida per l'Europa è l'unione federale
Corriere della Sera L'Europa senza identità che rinuncia a storia e valori
L'Huffington Post Italia convinta (o illusa) di stare nell'Europa che corre
The Financial Times Peace and prosperity: it is worth saving the liberal order
The Economist Surplus war
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