Asimmetrie politiche: i rischi degli accordi Italia-Cina

L'incontro tra il premier Conte e Xi Jinping e il rischio di isolamento del Memorandum of Understanding

Lo scorso fine settimana, l’Italia è diventata il primo membro del gruppo delle sette maggiori economie sviluppate ad aderire formalmente all’ambiziosa Belt and Road Initiative, un vasto progetto guidato dalla Cina che mira a costruire una «nuova via della seta» di ferrovie, porti e altri progetti infrastrutturali che colleghino la Cina all’Occidente passando attraverso una miriade di paesi. Il Memorandum of Understanding (MoU) italo-cinese mira ad individuare una serie di intese programmatiche che confermano per iscritto una convergenza di interessi fra le parti e descrivono una linea di azione comune. I 29 accordi – 19 istituzionali e 10 commerciali – raggiungono un valore di 2,5 miliardi di euro e sono stati accolti da Giuseppe Conte e Luigi Di Maio come fondamentali per l’Italia al fine ampliare il suo mercato e rimediare al deficit commerciale con la Cina di Xi Jinping, che nel 2018 ammontava a quasi 12 miliardi di euro. La strategia italiana per la Cina è cambiata radicalmente dal 1° giugno 2018, con la formazione del governo di coalizione tra il M5S e la Lega. Se tradizionalmente l’Italia aveva concentrato le sue forze nello sviluppare relazioni più strette con Washington e Bruxelles, la creazione della China Task Force dipendente dal Ministero dello Sviluppo Economico ha sancito una svolta epocale, portando l’Italia sempre più vicina al suo partner orientale.
In questo contesto, Il MoU deve essere letto in linea con gli accordi di cooperazione bilaterale firmati a Pechino dal ministro dell’Economia Giovanni Tria nell’agosto 2018, che prevedevano una più stretta cooperazione tra società italiane di infrastrutture e cantieristica navale quali Snam e Fincantieri e le loro controparti cinesi, così come tra le banche Banca d’Italia e Cassa Depositi e Prestiti e la Cina. L’obiettivo degli accordi è, per l’Italia, quello di diversificare le proprie riserve valutarie includendo il renminbi, e quindi titoli di stato cinesi; per Pechino, quello di internazionalizzare e liberalizzare ulteriormente il renminbi, la propria valuta.
 

Con la firma del Memorandum il governo italiano ha compiuto un ulteriore passo nel posizionare l’Italia come principale partner europeo nell’agenda di riqualificazione industriale della Cina


Con la firma del Memorandum, in meno di un anno dalla sua formazione, il governo italiano ha compiuto un ulteriore passo nel posizionare l’Italia come principale partner europeo nell’agenda di riqualificazione industriale della Cina, segnalando una maggiore apertura al tipo di investimenti cinesi, soprattutto per quanto riguarda i porti. Per Trieste, la società cinese Cccc – la China Communications Construction Company – opererà al fine di migliorare i collegamenti verso l’Est ed il centro Europa; a Genova, gli accordi riguardano progetti concordati per l’ampliamento dei moli.
Tuttavia, se Di Maio, Tria e soprattutto Geraci festeggiano l’accordo, le già evidenti tensioni in seno alla coalizione giallo-verde non possono che esacerbarsi nei mesi che verranno. Matteo Salvini commenta da Cernobbio: «Non mi si dica che la Cina è un paese con il libero mercato», aggiungendo come la manodopera straniera potrebbe intaccare il mercato di lavoro nazionale, portando l’Italia a perdere il controllo su settori sensibili quali l’industria manifatturiera e infrastrutturale. Il vicepremier tuttavia ha salutato la visita cinese in Italia, vedendo nella firma di un accordo «a parità di condizioni» un passo verso una più prominente leadership italiana in Europa.
 

Lungi dal dimostrare leadership, l’Italia rischia di minare la sua già fragile reputazione a livello europeo, allontanandosi inesorabilmente dalle posizioni dei suoi alleati tradizionali


Sebbene le critiche del ministro Salvini siano coerenti con la sua posizione nazionalista, tuttavia non mancano di sottolineare la profonda ingenuità con cui il governo italiano tratta con la Cina. L’argomento portato da Geraci e Di Maio a favore della Belt and Road Initiative, ovvero che aiuterebbe l’Italia a ridurre il suo deficit commerciale, non è assolutamente convincente, perché gli altri stati europei che hanno già sottoscritto all’iniziativa – tra tutti la Grecia e la Polonia – non hanno ottenuto i benefici economici tanto promessi da Pechino. Inoltre, lungi dal dimostrare leadership, l’Italia rischia di minare la sua già fragile reputazione a livello europeo, allontanandosi inesorabilmente dalle posizioni dei suoi alleati tradizionali sui temi di trasparenza finanziaria e controllo sugli investimenti stranieri. Il Memorandum firmato dall’Italia è, a ben vedere, un accordo asimmetrico che neanche troppo velatamente mette l’Italia a rischio di un isolamento politico ed economico, lasciandola in balia delle opache regolamentazioni cinesi.


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