Aprile in Europa - Eureka
Il fragile rapporto con la Turchia e le proteste in Ungheria per la chiusura della CEU
«Vive in un universo parallelo». Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, riferendosi alla premier britannica Theresa May, in una conversazione con la cancelliera tedesca, Angela Merkel, secondo indiscrezioni.
FOCUS EUROPA Relazioni pericolose
La reazione delle istituzioni europee al referendum in Turchia dello scorso 16 aprile arriva con un asettico comunicato stampa: «le modifiche costituzionali, e specialmente la loro implementazione pratica, saranno valutate alla luce degli obblighi della Turchia come Paese candidato all’ingresso nell’Unione Europea e come membro del Consiglio d’Europa». La dichiarazione reca i nomi del presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, dell’Alto rappresentante per la politica estera, Federica Mogherini, e del commissario alle politiche di allargamento e di vicinato, Johannes Hahn. Perché quello che si è svolto in Turchia lo scorso 16 aprile può apparire agli occhi dell’osservatore poco attento come un tentativo, portato avanti dall’attuale governo e dal suo presidente, di modifica del sistema istituzionale turco, tramite l’utilizzo di uno dei pochi strumenti di democrazia diretta, il referendum. Un modo, anche piuttosto nobile, di interrogare il popolo turco sulla forma di governo che, a parer loro, avrebbe potuto soddisfare maggiormente bisogni e necessità dello stato turco. La scelta sulla quale il popolo è stato chiamato a votare è stata quella tra una repubblica di tipo parlamentare e viceversa una di tipo presidenziale. Fortemente voluto dal Presidente turco, Recep Tayip Erdogan, la consultazione si è svolta «in un clima politico in cui le essenziali libertà fondamentali per un processo sinceramente democratico sono state ridotte allo stato di emergenza e le due parti non hanno avuto le stesse opportunità», secondo Tana de Zulueta, osservatrice dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). La stessa organizzazione rileva come la campagna per l’EVET, il sì alla modifica costituzionale, ha avuto maggiore spazio pubblicitario in televisione, a forte svantaggio del fronte dell’HAYIR, il no. Nonostante questo enorme sforzo, il sì ha avuto una risicata vittoria, con il 51% dei voti, a fronte del 49% per il no. A questo si aggiunga il sospetto di irregolarità della procedura di voto sul quale è stato chiamato a pronunciarsi il Consiglio di Stato turco. Il Consiglio di stato sembra però non volere entrare nella questione, rigettando più volte il ricorso presentato dai membri del partito di opposizione CHP.
Si aggiunga il sospetto di irregolarità della procedura di voto sul quale è stato chiamato a pronunciarsi il Consiglio di Stato turco
Secondo il referendum, il parlamento manterrà l’attuale potere legislativo, ma il numero dei parlamentari salirà da 550 a 600; affinché si possa essere suscettibili di elezione, l’età minima scenderà dai 25 ai 18 anni. L’elezione avrà luogo ogni cinque anni, insieme a quella del presidente. Si avrà una riduzione del numero dei giudici facenti parte della Corte costituzionale turca; mentre saranno abolite le giurisdizioni militari. Scomparirà la figura del premier, le cui funzioni saranno assorbite dallo stesso presidente. Il presidente avrà anche il potere di nominare e revocare i ministri, che non saranno più soggetti ad alcune mozione di sfiducia da parte del Parlamento, che si vede privato di un effettivo potere di controllo dell’esecutivo, nonostante resti sempre nelle sue mani l’istituto dell’impeachment del presidente. È chiaro che lo spostamento del centro di potere dal parlamento al governo, con eccessivo rafforzamento di quest’ultimo e con un parlamento spogliato dello strumento della fiducia nei confronti di ministri, delinea uno stato fortemente incentrato sul ruolo dell’esecutivo. La forte riduzione della libertà lasciata all’opposizione e il vacillamento del principio cardine della divisione dei poteri sembrano mettere in discussione l’idea stessa di stato di diritto. L’Unione Europea, in seguito al referendum turco, ha assunto una posizione piuttosto tiepida, invitando Erdogan ad un dialogo più partecipato e aperto con l’opposizione. Durissima invece la linea che vorrebbero seguire stati come Austria e Paesi Bassi, che hanno chiesto l’immediata interruzione dei negoziati per l’entrata nell’UE. Con questo referendum l’Europa perde la Turchia come paese dialogante nell’aria strategica di confine con l’Asia e Medio Oriente, subendo un forte indebolimento. Le procedure per l’ammissione della Turchia sono in crisi da tempo e si teme addirittura il ripristino della pena di morte, istituto eliminato appositamente nel 2004 per permettere alla Turchia di diventare candidato ufficiale all’ingresso nell’Unione Europea.
Domitilla D'Ambra
FOCUS UNGHERIA Ciao CEU
Erano circa 70.000 per le strade di Budapest, domenica 9 aprile. Cittadini che protestavano contro una legge che mette a serio rischio libertà di insegnamento e pensiero. Le proteste non si sono fermate lì, ma sono continuate per i giorni seguenti con lo scopo di fermare quella che è stata subito rinominata Lex-CEU, ovvero una proposta legislativa del governo ungherese di Viktor Orbàn che, seppur generica, ha un preciso obiettivo: chiudere la Central European University. Si tratta di un’università americana ma con unica sede a Budapest. Vanta qualcosa come 14.000 studenti provenienti da 117 paesi e professori di indubbia fama e fu fondata nel 1991 da George Soros, miliardario e filantropo americano, di origini ungheresi. Un ambiente internazionale, multiculturale, aperto, decisamente troppo per il governo del paese, che ha pensato bene di presentare alcuni emendamenti alla legge sull’istruzione costringendola di fatto a chiudere entro il 2021. Nessuno si è finora opposto: né il parlamento, dove la maggioranza di governo in mano al partito Fidesz ha retto, né il Presidente della Repubblica Janos Ader che il 10 aprile ha promulgato la legge. A poco sono servite anche le critiche del Presidente dell’Università Micheal Ignatieff, che lo ha definito un atto di vandalismo politico che lede i principi base della democrazia, e di più di 500 accademici americani ed europei, di cui 20 Premi Nobel, firmatari di un appello pro-CEU. Gli emendamenti alla legge sull’istruzione non sono specificatamente contro la CEU, ma più genericamente impediscono alle università in territorio magiaro di emettere diplomi universitari da istituzioni accademiche non europee, i cui stati d’origine non abbiano un accordo bilaterale con l’Ungheria e non ospitino una sede della medesima università. Due criteri che la CEU non rispetta. E se da un lato il Segretario all’Istruzione Laszlo Palkovics smentisce che la norma voglia colpire il magnate americano, dall’altro Zoltan Balog, Ministro delle Risorse Umane, afferma che lo scopo della legge è proteggere l’Ungheria da tutte quelle realtà di spionaggio, «come quelle fondate da George Soros». Ma proprio Orbàn riuscì a studiare ad Oxford tramite una borsa di studio ottenuta dalla Open Society Foundation di Soros. La poca riconoscenza mostrata dall’attuale premier, che fondò nel 1988 l’Alleanza dei Giovani Democratici (Fiatal Demokraták Szövetsége, da cui l’acronimo Fidesz) per guidare il paese fuori dal comunismo verso una democrazia liberale, testimonia una generale opposizione alle ingerenze americane ed europee, e una maggiore apertura verso la Russia. L’UE si trova dunque a gestire un paese a dir poco eversivo di tutti i valori che 70 anni della sua storia stanno cercando di affermare. Nel 2011 la libertà di stampa, nel 2012 l’indipendenza delle istituzioni e della magistratura, oggi la libertà d’insegnamento e l’associazionismo, le riforme magiare sono un continuo attentato ai valori fondanti dell’Europa e hanno sullo sfondo un generale euroscetticismo. Si sono susseguiti un rapporto speciale del Parlamento europeo sulla pericolosità delle modifiche alla costituzione ungherese; il rifiuto, da parte di Orbàn, del piano di ricollocamento dei migranti previsto dalla Commissione europea; un muro per respingere l’immigrazione dalla Serbia; una campagna governativa dal titolo Fermiamo Bruxelles, a cui Bruxelles ha risposto punto su punto con un contro-documento. Dopo tutto questo, il caso CEU ha finalmente visto la Commissione reagire con una procedura d’infrazione sulla base dell’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea, che arriva a prevedere, nel caso di concrete minacce ai valori della comunità, anche la rimozione del diritto di voto. Dimostrarsi risoluti nel curare un virus illiberale che si sta diffondendo e non ha paura di mostrarsi è prioritario per dare credibilità al concetto stesso di UE, e non c’è compromesso politico che meriti di impedirlo.
Matteo Gori
CALENDARIO In Europa, a marzo
7 aprile ► Un uomo ha prima rubato un autocarro e poi si è lanciato contro la folla nel centro di Stoccolma. Pochi giorni dopo ha ammesso la propria colpevolezza dinanzi alle forze dell'ordine che lo hanno arrestato.
10 aprile ► Il numero di migranti che sono arrivati in Germania tra Gennaio e Marzo è sceso di oltre il 65 percento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
18 aprile ► Theresa May, primo ministro del Regno Unito, ha annunciato che il Paese andrà al voto il prossimo 8 giugno. I sondaggi danno in testa i conservatori, già al governo.
20 aprile ► Un uomo ha aperto il fuoco contro le forze dell'ordine nei pressi della Torre Eiffel a Parigi, ed un poliziotto è rimasto ucciso e due persone ferite. Si sospettano motivi di matrice islamica.
26 aprile ► Gli ambasciatori di tutta l'Unione Europea hanno approvato l'abolizione dei visti per i cittadini dell'Ucraina, dando seguito alla decisione del Parlamento europeo. Il Consiglio dei ministri dovrebbe definitivamente approvare la decisione il prossimo 11 maggio.
26 aprile ► In una visita programmata alla fabbrica Whirpool di Amiens, il candidato presidente francese Emmanuel Macron è stato fischiato dai dipendenti, che invece hanno riservato un trattamento migliore a Marine Le Pen, la rivale, giunta sul luogo poco dopo.
29 aprile ► I 27 leader europei hanno dimostrato unità di intenti nell'approvare le linee guida di negoziazione dei termini di uscita del Regno Unito dall'UE. La decisione è stata formalizzata in breve tempo, e ad essa ha fatto seguito un applauso.
29 aprile ► I leader europei hanno anche proposto che si discuta in ottobre della ricollocazione delle agenzie europee attualmente presenti nel Regno Unito, la European Banking Authority e la European Medicines Agency, per la quale anche Milano si proporrà come sede.
SPUNTI per l'Europa
Corriere della Sera All'Unione Europea serve un ministro delle finanze
Il Sole 24 Ore Lasciare l'Euro? Ora sarebbe complicato
The Economist This French election is unprecedented in all sorts of ways
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