Una meravigliosa desolazione

Il secondo uomo sulla Luna e la rivincita di Buzz Aldrin nel mondo dei giocattoli

La storia della rincorsa allo spazio racchiude tante micro-narrazioni. Una di queste è la storia di un eterno secondo. Ma è anche la storia di un eterno primo e forse è, di striscio, un po’ la storia di tutti noi, che almeno una volta nella vita siamo stati entrambi questi personaggi.

Partiamo da colui che è noto a tutti, ma davvero a chiunque, per aver poggiato per primo i piedi sulla luna: Neil Armstrong, e lo davano in tv! Chissà cos’avrebbero pensato gli inquisitori di Galileo se questi gli avesse detto che noi mortali avremmo passeggiato sul sasso che ci orbita intorno e che l’umanità intera lo avrebbe guardato seduta sul divano. Tutti coloro che lo videro concordano che la scena fu epocale, ma soprattutto che la frase fu epocale, questo è un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l'umanità. Calzò perfettamente perché pochi attimi dopo Neil Armstrong si ritrovò a rimbalzare dolcemente sul tappeto lunare, ovvero a compiere fisicamente dei balzi, in avanti. Tutti i nostri genitori rievocano volentieri questo ricordo.
Quello che invece molti non ricordano è il nome e l’aspetto dell’uomo che seguì Armstrong nella sua passeggiata, lo stesso che guidò il modulo lunare e che di fatto li scese entrambi illesi sul terreno inospitale di un pianetino che non era la terra. Loro due e basta, soli su di una sfera di roccia morta, per la prima volta nella storia: Neil Armstrong e Edwin Eugene Aldrin, molto più noto come Buzz Aldrin: il secondo uomo ad aver messo piede sulla luna. L’eterno secondo.

Dovete sapere che quando il modulo si stava avvicinando alla superficie della luna, Buzz Aldrin fece una brillante manovra di atterraggio, ma fu comunque il comandante Armstrong, in virtù del fatto che era appunto comandante, a comunicare la notizia alla NASA, Houston, qui Base della tranquillità. L'Eagle è atterrato! Poteva dire, Well done Buzz, great job! Invece no, la gloria se la prese tutta a forza di frasi epiche in diretta mondiale.
E voi mi direte, ma che importa in fondo? L’importante è che l’uomo ce l’abbia fatta, che la sua corsa allo spazio abbia raggiunto almeno questo primo, minuscolo passo. Al che vi risponderei che avete ragione. Ma qui non si parla di storia o di astronomia, ma di narrativa. Quella di Neil Armstrong e della Luna è una storia d’amore decisa a tavolino, prima ancora che l’Apollo 11 si alzasse dalla base a Cape Canaveral per dirigersi nello spazio: lui era il capitano e sua era la gloria. Probabilmente è anche giusto così. Eppure questa di Neil Armstrong, del suo primato e della fama da esso derivata, è una storia sciapa, rilevante sugli almanacchi e i libri di storia, ma tremendamente priva del brio narrativo.

Densa di significati è invece la vicenda di Buzz. Sì, perché dopo venti minuti dal suo allunaggio il mondo si era già innamorato dell’americanone simpatico e sfacciatamente leader che passeggiava fra i crateri della luna, mentre di Aldrin si erano già scordati tutti, tant’è che quando scese anche lui per compiere il suo storico passo, molti si ritrovarono tanto spiazzati da esclamare, Ah, ma quindi erano in due?
Pensate, addirittura, che una volta risaliti sul modulo lunare i due ebbero un problema: un guasto impedì loro di riaccendere i propulsori del motore. Un guasto semplice: muovendosi in quell’angusto abitacolo, i due astronauti avevano ripetutamente urtato un interruttore con le loro ingombranti tute, danneggiandolo completamente. Bisognava ripararlo e per farlo occorreva chiudere il circuito elettrico. Ci pensò di nuovo Buzz Aldrin. Agguantò una penna – che a suo dire conserva tuttora – e con questa chiuse il circuito, poi riaccese i motori, si riportò ai comandi e fece marcia indietro verso il nostro bel pianeta blu. Di nuovo Buzz Aldrin. In pratica fece tutto lui, pilota, MacGyver e factotum di quella missione. Senza di lui l’americanone che tutti si ricordano non sarebbe mai tornato dalla luna, magari sarebbe ancora lassù a comunicare con la NASA dicendo, Houston mi venite a prendere? Ho fame. Eppure, nonostante questi e altri meriti evidenti, appena discesi a terra i loro destini approdarono di nuovo di fronte a un bivio e stavolta si divisero per sempre.

Mentre Neil si diede a una tranquilla esistenza fatta di onoreficenze e comparsate, Buzz Aldrin andò a schiantarsi contro il periodo più inquieto della sua carriera e anche della sua vita. Divenne depresso e la malinconia lo accompagnò per mano sul bordo dell’alcolismo dove lui, fra scivoloni e riprese, rimase per un po’. Si racconta che divenne acido nei confronti di Armstrong, che i suoi intimi sapevano bene che non correva buon sangue fra i due. Dopo aver lottato li superò entrambi: depressione e alcolismo. Passarono gli anni difficili. Aldrin si ritirò dalla NASA e iniziò a pensare alla sua vita “di dopo”, cioè quella dopo lo spazio, dopo la luna e dopo Neil Armstrong; ma non gli fu possibile concentrarsi su di una nuova carriera poiché scoppiò uno scandalo che nessuno, in quel 1969, poteva lontanamente immaginare. Molti e influenti giornalisti, compreso un tale Bart Sibrel, sollevarono le famosa teoria complottista secondo cui l’Apollo 11 non sarebbe mai atterrato sulla luna. Erano ormai i primi anni duemila, le tecnologie profondamente cambiate. L’era digitale in piena pubertà si preparava a sbocciare la primavera degli smartphone e dei dubbi, degli scetticismi, dei complottisti.

In questo contesto Aldrin si ritrovò di nuovo l’eterno secondo. Mentre Armstrong dibblò il caso da esperto capitano lasciando ad altri l’onere di rispondere ai giornalisti, ai curiosi, ai paparazzi, ai cercatori di gossip, Aldrin finì in pasto al vortice mediatico. Un giorno Bart Sibrel riuscì finalmente a intervistarlo e Buzz cercò di imitare l’aplomb di Neil. Tacque dopo ogni domanda, provando per una volta a trasformarsi nel leader sicuro e impettito che non ha bisogno di rispondere e certo non deve cedere. Solo che allora il giornalista stizzito lo provocò, gli disse, Sei un codardo, un ladro e un bugiardo, e riuscì nel suo intento poiché Aldrin, pur essendo di statura mingherlino rispetto a Sibrel, gli tirò un pugno dritto in faccia. Anche se l’evento non diede vita a strascichi giudiziari, la gente interpretò quella reazione violenta come la prova che Buzz Aldrin aveva dei problemi; che l’intera missione poteva anche essere un bluff ma che sicuramente Aldrin aveva dei problemi!
Nel frattempo, trent’anni dopo la missione, la persone continuavano ancora a fermare per strada il beniamino statunitense che era sceso per primo sulla luna e a chiedergli l’autografo. Questo perché gli oggetti da lui firmati venivano venduti a cifre assurde, e avevano creato un vero e proprio giro d’affari sommerso ben conosciuto da collezionisti e maniaci. Si trattava dell’ennesima dimostrazione di superiorità di Neil, l’eterno primo, che trasformava in oro anche una firma su un pezzo di carta, su un posacenere, su un quadro in un locale o sulla carrozzeria di una vecchia Tryumph.

A questo punto la storia di Buzz, che come ho detto non fu mai insapore, si arricchì di un capitolo insperato, che stroncò il filone narrativo delle sue sconfitte impreziosendolo di un’eccezione: altro che Kubrick e il suo presunto lungometraggio, altro che i feticci di Neil e il cazzotto rifilato a Sibrel: ideato dentro ai Pixar animation studios nacque Buzz Lightyear. Chi di voi non conosce Buzz Lightyear mente. È un personaggio troppo. Troppo e basta. Quando approdò al cinema insieme a Woody e all’allegra combriccola di Toy Story sbancò il botteghino come mai nessun cartone d’animazione, ma di sicuro saprete anche questo. Era diverso, sembrava che i colori sbrilluccicassero sullo schermo, come se fino ad allora avessimo visto soltanto colori pallidi e adesso, per la prima volta, ci accorgevamo che c’erano infinite sfumature sgargianti. E poi, ovviamente, i giocattoli parlavano. E lui, Buzz Lightyear, veniva dallo spazio in qualità di ranger galattico, incutendo in tal modo grande timore agli altri giocattoli. Persino il bambino spettatore aveva un iniziale timore di lui perché è la novità, il gioco nuovo, che di solito rimpiazza subito il vecchio nel cuore e nelle attenzioni del bambino. Woody è il ranger vero, storico, è il numero uno in partenza, il giocattolo preferito di ogni bambino ed è la guida spirituale dei giocattoli di Andy: Woody è come Armstrong, comandante in partenza. Eppure succede un’altra cosa stavolta. Succede che Buzz, dapprima spaesato e burbero, va incontro alla catarsi che al suo omonimo reale fu negata, una catarsi che si conclude con la sua investitura a comandante nel cuore di tutti i bambini. Perché Woody è il giocattolo di Andy, ma Buzz è il nostro, quello di tutti noi. Lo testimonia anche un sondaggio che la Pixar fece qualche tempo fa: selezionò venti personaggi e chiese al mondo di votare il preferito. Stravinse Buzz Lightyear, annichilendo la concorrenza.

Non sarà la simpatia di un personaggio immaginario a risarcire Buzz Aldrin della fama che la storia gli ha sottratto, ma è di certo una piccola rivalsa, che si è legata a lui e ne ha modificato ai miei occhi il personaggio. Oggi, quando penso a Buzz mi viene da stringere il pugno chiuso in aria e dire, Verso l’infinito… e oltre! e solo dopo penso al grande astronauta che scese per secondo sul nostro satellite e lo definì una meravigliosa desolazione.
Io credo che la sfida allo spazio sia narrativamente bellissima. Anche se si tratta di una corsa che ci ha visto tentare e fallire, tentare e fallire, raramente abbiamo ottenuto un successo, come il balzo di Armstrong. E questo genere di successo, anche se raro, riaccende in noi quella primitiva voglia di arrivare lontano.
Intanto siamo giunti sulla luna. Certo raggiungerla non è stato semplice, perché come ogni grande traguardo si è lasciato attendere e ha preteso dei sacrifici, e questi sacrifici umani sono le storie di gente come Neil Armstrong, eterno primo, e Buzz Aldrin, eterno secondo, e della sua Meravigliosa desolazione.

Michelangelo Focosi, A few words


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